Quale anestesia per un paziente speciale?
del Dott. Cesare Felici
Perché il paziente diversamente abile è per l’anestesista
un paziente speciale? Perché usa
una comunicazione diversa e perché spesso
è portatore di patologie ed anomalie anatomiche
ad alto rischio anestesiologico.
Possiamo affermare che è speciale in quanto
richiede un interlocutore speciale.
Come può esserlo l’anestesista? Deve essere
in possesso di grande esperienza e competenza
tecnica, inoltre deve avere sensibilità
empatica.
Quando ci accingiamo a praticare un’anestesia
a tale paziente, ci troviamo di fronte
a noi stessi. Quanto siamo in grado, di prevenire
ed affrontare tutti gli eventi avversi
che possono verificarsi, mentre proteggiamo
da un insulto chirurgico un essere già
provato? Quanto siamo in grado di guardare
in faccia la nostra parte più fragile ed indifesa per accoglierla, integrarla e guidarla?
L’empatia, ecco la grande possibilità di crescita
personale. Non a caso questa parola
origina dalla volontà di definire una capacità
creativa dell’essere umano. Traduzione
del tedesco EINFÜHLUNG, il filosofo Theodore
Lipps l’applicò in ambito estetico per
indicare la relazione che lega l’artista ed il
fruitore che proietta se stesso nell’opera
d’arte. Attualmente, in ambito cognitivo è
intesa come capacità di percepire, immaginare
ed avere comprensione diretta degli
stati mentali e dei comportamenti altrui. In
sostanza l’empatia tende all’ottimizzazione
dell’interazione tra individui. Ma andrei oltre,
tende all’ottimizzazione dell’interazione
tra le varie forze che interagiscono all’interno
del mondo interiore del singolo individuo.
Per questo praticare un’anestesia
ad un paziente diversamente abile rappresenta
una grande occasione di consapevolezza,
significa avventurarsi nel proprio animo,
contattare paure, diversità, inadeguatezza,
forza, accedere a risorse inesplorate
ed alla ricchezza di strade parallele.
Tali riflessioni aprono dei quesiti:
Siamo formati alla comunicazione?
L’ambiente e le organizzazioni del lavoro la
favoriscono?
Negli ospedali esistono luoghi pensati a
questo scopo?
Il trend della sanità va oltre il modello di un
paziente-cliente in un contesto anonimo?
Ci sono volontà e mezzi per introdurre ed
incrementare approcci cosiddetti non convenzionali
(gelotologia, arteterapia, chiroterapia,
ipnosi, shiatsu, etc) utili ad un
evento chirurgico meno traumatizzante?
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