Piante medicinali in fitoterapia
Le piante si sono rivelate le uniche risorse medicamentose che l’uomo abbia potuto utilizzare praticamente per quasi tutto il percorso della sua storia
a cura della SOCIETÀ ITALIANA DI FITOTERAPIA
LE PIANTE HANNO UNA DIVERSITÀ BIOCHIMICA molto
più ricca degli animali e almeno i quattro
quinti dei metaboliti secondari oggi conosciuti
sono di origine vegetale. La spiegazione
di questo fenomeno risiede probabilmente
nel fatto che le piante sono vincolate
al suolo e devono evolvere una molteplicità
di meccanismi di adattamento e di
difesa. I prodotti del metabolismo secondario
sono in pratica gli intermediari con
cui gli organismi vegetali comunicano con
l’ambiente che li circonda, con lo scopo di
trovare le condizioni più adatte per poter vivere,
convivere, sopravvivere e riprodursi.
Dal punto di vista evolutivo, si possono distinguere
un adattamento fisiologico e un
adattamento biochimico: da quest’ultimo
dipende principalmente la diversità chimica
nella composizione delle piante.
Un farmaco è un composto chimico che,
dopo essere stato assunto, ha la capacità di
provocare una risposta fisiologica; dato l’enorme
numero di costituenti chimici diversi,
è molto comune trovare sostanze attive
all’interno del regno vegetale. In effetti,
le piante si sono rivelate le uniche risorse
medicamentose che l’uomo abbia potuto
utilizzare praticamente per quasi tutto il
percorso della sua storia. Solamente a partire
dal XIX secolo, si è avuta l’introduzione
di principi attivi vegetali isolati allo stato
puro, la sintesi chimica e, soprattutto, l’impiego
della modulazione chimica. A tutt’oggi
la grande maggioranza dei farmaci monomolecolari
moderni deriva direttamente
o indirettamente ancora dalle piante.
Classi importanti di farmaci di origine vegetale
sono quelle degli antiinfiammatori
non steroidei derivate dall’acido salicilico,
degli antitumorali [vincristina, vinblastina,
irinotecan e topotecan, etoposide e teniposide,
tassoli], degli stimolanti del sistema nervoso centrale [caffeina, cocaina], dei
cardiostimolanti [digitale], degli anestetici
locali [procainamide], dei narcotici analgesici
[morfina, codeina], dei miotici e antiglaucoma
[atropina, pilocarpina], degli
antimalarici [chinina, clorochina, derivati
dell’artemisinina] e degli anticoagulanti
orali [warfarin, acenocumarolo]. L’impiego
primitivo delle piante per gli scopi medicinali
avveniva sulla base di esperienze empiriche
maturate utilizzando direttamente
la pianta stessa, fresca o essiccata [droga],
oppure sottoposta a procedimenti di estrazione
molto semplici, quali gli infusi e i decotti
con acqua o i macerati con alcool o liquidi
alcoolici [tinture]. Di un numero significativo
di preparazioni vegetali tradizionali
è stata dimostrata l’evidenza dell’efficacia
terapeutica sulla base di studi clinici
controllati. L’impiego medicinale delle
piante ha conosciuto un rapido declino
da quando nei paesi sviluppati hanno cominciato
ad essere disponibili potenti farmaci
sintetici, ma nei paesi del terzo mondo
l’etnomedicina basata sulle piante rimane
popolare ancora ai nostri giorni [per
esempio, la medicina Ayurvedica in India,
la medicina Kampo in Giappone e la medicina
tradizionale Cinese]. In altri paesi [per
esempio, Germania, Francia], la fitoterapia
ha continuato a coesistere con la moderna
terapia farmacologica.
L’azione delle droghe e delle preparazioni
vegetali, pur svolgendosi con meccanismi
che sono propri anche dei farmaci di sintesi,
differisce da questi per il fatto di essere
essenzialmente polivalente. Questo fenomeno
dipende dalla composizione delle
droghe e delle preparazioni vegetali, che
è costituita da una pluralità di composti
strutturalmente anche molto differenti.
Come conseguenza, il profilo farmacologico e, in qualche caso, terapeutico è caratterizzato
da una molteplicità di effetti
nettamente diversi fra loro e che compaiono
a dosi diverse.
È possibile, quindi, che un estratto possieda
caratteristiche farmacologiche e terapeutiche
complessive che differiscono da quelle
dei principali singoli costituenti chimici, ma
che si rivelano ugualmente utili in medicina.
In molti casi, può anche avvenire che i principali
costituenti siano singolarmente meno
potenti del fitocomplesso o addirittura
inattivi. Poiché la preparazione degli estratti
rappresenta un passaggio obbligato ai fini
della caratterizzazione chimica e biologica
di una specie vegetale, è sempre presente
il quesito sulla convenienza di sviluppare
l’estratto piuttosto che un suo costituente
puro, la cui risoluzione dipende dai
risultati delle indagini farmacologiche.
Un’ulteriore fonte di variazioni nella composizione
delle droghe e preparazioni vegetali
nominalmente uguali è costituita dai
processi di lavorazione che le piante medicinali
subiscono dopo la raccolta. La composizione
chimica di una pianta non è
uniforme in tutte le parti che la compongono
e spesso quasi tutti i principi attivi sono
concentrati in uno specifico organo risultando
meno concentrati o assenti in altri.
Inoltre, la composizione chimica di una
pianta varia durante la crescita e durante il
ciclo vegetativo per cui l’esatto momento
della raccolta [chiamato tempo balsamico]
riveste una importanza fondamentale nel
determinare la costanza di composizione
fra le droghe di una stessa specie vegetale.
Poiché i processi adottati per ottenere le varie
preparazioni sono sostanzialmente di
frazionamento, è intuitivo che la natura di
questi processi costituisca una fonte primaria
di diversificazione nella composizione
chimica. Procedimenti completamente
differenti, come per esempio la distillazione
o l’estrazione con un solvente,
portano inevitabilmente a composizioni
differenti che sono correlate con le caratteristiche
chimico-fisiche dei singoli costituenti.
La composizione chimica delle droghe
e delle preparazioni ottenute da una
stessa specie vegetale ha un effetto diretto
sulle loro attività biologiche, le quali possono
variare di conseguenza non solo in dipendenza
del contenuto qualitativo e
quantitativo dei principi attivi noti, ma anche
di costituenti cui non è riconosciuta la
partecipazione all’attività biologica. La variabilità
della composizione chimica e,
conseguentemente, dell’attività biologica
delle sostanze vegetali, costituisce non solo
il maggiore ostacolo per lo studio e l’applicazione
terapeutica, ma anche un problema
di difficile soluzione per la costruzione
di una regolamentazione che voglia
garantire la sicurezza, l’efficacia e la qualità
dei farmaci vegetali. L’interpretazione delle
proprietà farmacologiche, tossicologiche
e cliniche di una specie è quindi quasi sempre
incerta, perché i risultati delle singole
sperimentazioni sono riferibili solo alla
specifica droga o preparazione sottoposte
ad indagine.
Sono oggi disponibili molti studi clinici
controllati condotti con prodotti medicinali
vegetali, ma purtroppo i loro risultati sono
raramente uniformi. Il metodo migliore per
evitare di cadere in errore è quello di effettuare
rassegne sistematiche e meta-analisi
degli studi clinici condotte sui prodotti di
una stessa pianta che diano una certa garanzia
di omogeneità; questo approccio minimizza
le conseguenze sia di randomizzazione
che di selezione dei pazienti non corrette.
All’esecuzione di queste rassegne sistematiche
e meta-analisi si dedicano organizzazioni
come la Cochrane Collaboration
e il gruppo di ricercatori della Peninsula
Medical School presso l’Università di
Exeter & Plymouth in Inghilterra, diretto dal
Prof. Edzard Ernst. Utilizzando questo approccio,
l’efficacia di un certo numero di
medicine vegetali risulta ragionevolmente
provata. Nella maggioranza degli altri casi
prevale al momento l’incertezza. Esiste tuttavia
un notevole accordo sul fatto che, in
mancanza di una convincente evidenza di
efficacia, l’esperienza empirica maturata
nel lungo periodo su determinati prodotti
vegetali sia una testimonianza accettabile
della loro utilità in medicina.
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