MTM n°24
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 8 - Numero 3 - ott/dic 2009
Dibattito - Fitoterapia
 






Anno 8 - Numero 3
ott/dic 2009

 

L’impiego medicinale delle piante ha conosciuto un rapido declino da quando nei paesi sviluppati hanno cominciato ad essere disponibili potenti farmaci sintetici, ma nei paesi del terzo mondo l’etnomedicina basata sulle piante rimane popolare ancora ai nostri giorni




Piante medicinali in fitoterapia
Le piante si sono rivelate le uniche risorse medicamentose che l’uomo abbia potuto utilizzare praticamente per quasi tutto il percorso della sua storia
a cura della SOCIETÀ ITALIANA DI FITOTERAPIA
SOCIETÀ ITALIANA DI FITOTERAPIA

PassifloraLE PIANTE HANNO UNA DIVERSITÀ BIOCHIMICA molto più ricca degli animali e almeno i quattro quinti dei metaboliti secondari oggi conosciuti sono di origine vegetale. La spiegazione di questo fenomeno risiede probabilmente nel fatto che le piante sono vincolate al suolo e devono evolvere una molteplicità di meccanismi di adattamento e di difesa. I prodotti del metabolismo secondario sono in pratica gli intermediari con cui gli organismi vegetali comunicano con l’ambiente che li circonda, con lo scopo di trovare le condizioni più adatte per poter vivere, convivere, sopravvivere e riprodursi.
Dal punto di vista evolutivo, si possono distinguere un adattamento fisiologico e un adattamento biochimico: da quest’ultimo dipende principalmente la diversità chimica nella composizione delle piante.
Un farmaco è un composto chimico che, dopo essere stato assunto, ha la capacità di provocare una risposta fisiologica; dato l’enorme numero di costituenti chimici diversi, è molto comune trovare sostanze attive all’interno del regno vegetale. In effetti, le piante si sono rivelate le uniche risorse medicamentose che l’uomo abbia potuto utilizzare praticamente per quasi tutto il percorso della sua storia. Solamente a partire dal XIX secolo, si è avuta l’introduzione di principi attivi vegetali isolati allo stato puro, la sintesi chimica e, soprattutto, l’impiego della modulazione chimica. A tutt’oggi la grande maggioranza dei farmaci monomolecolari moderni deriva direttamente o indirettamente ancora dalle piante.
Classi importanti di farmaci di origine vegetale sono quelle degli antiinfiammatori non steroidei derivate dall’acido salicilico, degli antitumorali [vincristina, vinblastina, irinotecan e topotecan, etoposide e teniposide, tassoli], degli stimolanti del sistema nervoso centrale [caffeina, cocaina], dei cardiostimolanti [digitale], degli anestetici locali [procainamide], dei narcotici analgesici [morfina, codeina], dei miotici e antiglaucoma [atropina, pilocarpina], degli antimalarici [chinina, clorochina, derivati dell’artemisinina] e degli anticoagulanti orali [warfarin, acenocumarolo]. L’impiego primitivo delle piante per gli scopi medicinali avveniva sulla base di esperienze empiriche maturate utilizzando direttamente la pianta stessa, fresca o essiccata [droga], oppure sottoposta a procedimenti di estrazione molto semplici, quali gli infusi e i decotti con acqua o i macerati con alcool o liquidi alcoolici [tinture]. Di un numero significativo di preparazioni vegetali tradizionali è stata dimostrata l’evidenza dell’efficacia terapeutica sulla base di studi clinici controllati. L’impiego medicinale delle piante ha conosciuto un rapido declino da quando nei paesi sviluppati hanno cominciato ad essere disponibili potenti farmaci sintetici, ma nei paesi del terzo mondo l’etnomedicina basata sulle piante rimane popolare ancora ai nostri giorni [per esempio, la medicina Ayurvedica in India, la medicina Kampo in Giappone e la medicina tradizionale Cinese]. In altri paesi [per esempio, Germania, Francia], la fitoterapia ha continuato a coesistere con la moderna terapia farmacologica.
Piper methysticumL’azione delle droghe e delle preparazioni vegetali, pur svolgendosi con meccanismi che sono propri anche dei farmaci di sintesi, differisce da questi per il fatto di essere essenzialmente polivalente. Questo fenomeno dipende dalla composizione delle droghe e delle preparazioni vegetali, che è costituita da una pluralità di composti strutturalmente anche molto differenti. Come conseguenza, il profilo farmacologico e, in qualche caso, terapeutico è caratterizzato da una molteplicità di effetti nettamente diversi fra loro e che compaiono a dosi diverse.
È possibile, quindi, che un estratto possieda caratteristiche farmacologiche e terapeutiche complessive che differiscono da quelle dei principali singoli costituenti chimici, ma che si rivelano ugualmente utili in medicina. In molti casi, può anche avvenire che i principali costituenti siano singolarmente meno potenti del fitocomplesso o addirittura inattivi. Poiché la preparazione degli estratti rappresenta un passaggio obbligato ai fini della caratterizzazione chimica e biologica di una specie vegetale, è sempre presente il quesito sulla convenienza di sviluppare l’estratto piuttosto che un suo costituente puro, la cui risoluzione dipende dai risultati delle indagini farmacologiche.
Un’ulteriore fonte di variazioni nella composizione delle droghe e preparazioni vegetali nominalmente uguali è costituita dai processi di lavorazione che le piante medicinali subiscono dopo la raccolta. La composizione chimica di una pianta non è uniforme in tutte le parti che la compongono e spesso quasi tutti i principi attivi sono concentrati in uno specifico organo risultando meno concentrati o assenti in altri.
Inoltre, la composizione chimica di una pianta varia durante la crescita e durante il ciclo vegetativo per cui l’esatto momento della raccolta [chiamato tempo balsamico] riveste una importanza fondamentale nel determinare la costanza di composizione fra le droghe di una stessa specie vegetale.
Poiché i processi adottati per ottenere le varie preparazioni sono sostanzialmente di frazionamento, è intuitivo che la natura di questi processi costituisca una fonte primaria di diversificazione nella composizione chimica. Procedimenti completamente differenti, come per esempio la distillazione o l’estrazione con un solvente, portano inevitabilmente a composizioni differenti che sono correlate con le caratteristiche chimico-fisiche dei singoli costituenti.
La composizione chimica delle droghe e delle preparazioni ottenute da una stessa specie vegetale ha un effetto diretto sulle loro attività biologiche, le quali possono variare di conseguenza non solo in dipendenza del contenuto qualitativo e quantitativo dei principi attivi noti, ma anche di costituenti cui non è riconosciuta la partecipazione all’attività biologica. La variabilità della composizione chimica e, conseguentemente, dell’attività biologica delle sostanze vegetali, costituisce non solo il maggiore ostacolo per lo studio e l’applicazione terapeutica, ma anche un problema di difficile soluzione per la costruzione di una regolamentazione che voglia garantire la sicurezza, l’efficacia e la qualità dei farmaci vegetali. L’interpretazione delle proprietà farmacologiche, tossicologiche e cliniche di una specie è quindi quasi sempre incerta, perché i risultati delle singole sperimentazioni sono riferibili solo alla specifica droga o preparazione sottoposte ad indagine.
Sono oggi disponibili molti studi clinici controllati condotti con prodotti medicinali vegetali, ma purtroppo i loro risultati sono raramente uniformi. Il metodo migliore per evitare di cadere in errore è quello di effettuare rassegne sistematiche e meta-analisi degli studi clinici condotte sui prodotti di una stessa pianta che diano una certa garanzia di omogeneità; questo approccio minimizza le conseguenze sia di randomizzazione che di selezione dei pazienti non corrette.
All’esecuzione di queste rassegne sistematiche e meta-analisi si dedicano organizzazioni come la Cochrane Collaboration e il gruppo di ricercatori della Peninsula Medical School presso l’Università di Exeter & Plymouth in Inghilterra, diretto dal Prof. Edzard Ernst. Utilizzando questo approccio, l’efficacia di un certo numero di medicine vegetali risulta ragionevolmente provata. Nella maggioranza degli altri casi prevale al momento l’incertezza. Esiste tuttavia un notevole accordo sul fatto che, in mancanza di una convincente evidenza di efficacia, l’esperienza empirica maturata nel lungo periodo su determinati prodotti vegetali sia una testimonianza accettabile della loro utilità in medicina.