Caso report: overdenture su paziente in terapia con bifosfonati per il trattamento dell'osteoporosi
di E. Raimondo e L. Montella
I BIFOSFONATI SVILUPPATI NEL XIX ° SECOLO, solo negli anni 60
cominciarono ad interessare il mondo medico scientifico
per sperimentazioni in relazione a patologie del metabolismo
osseo.
Oggi trovano largo impiego oltre che in campo oncologico,
nel trattamento di disturbi metabolici.
Dal 1996 infatti, grazie ai risultati di uno studio [FIT], presentati
al congresso mondiale dell’osteoporosi vengono
utilizzati nella profilassi dell’osteoporosi che insorge nelle
donne in seguito alla menopausa. Ancora non è del
tutto chiaro quale sia il loro meccanismo d’azione e neppure
quali siano esattamente le cellule bersaglio, ma esiste
un’ ipotesi attualmente considerata valida, che spiega
il meccanismo d’azione di questi farmaci.
I bifosfonati sono indirettamente responsabili dell’aumento
di densità ossea grazie all’inibizione degli osteoclasti.
In caso di danno osseo, gli osteoclasti reclutati dalle
sostanze che si liberano dal sito del danno, rimuovono
il tessuto danneggiato e vanno in apoptosi, stimolando
il reclutamento degli osteoblasti che, a loro volta,
si occupano di rigenerare le strutture tissutali danneggiate
e digerite dagli osteoclasti. In questo modo si chiude
il cerchio del meccanismo noto come: “rimodellamento”;
I bifosfonati interferiscono con questo meccanismo
interrompendo l’azione osteoclastica.
La questione bifosfonati investe il mondo odontoiatrico
in seno alla possibile relazione esistente tra l’uso di questi
farmaci e l’insorgenza di osteonecrosi dei mascellari.
A partire dal 2002, si trovano in letteratura articoli che
parlano di questa patologia e nel 2003 Wang e i suoi collaboratori,
per primi, pubblicano un articolo che descrive
tre casi di ONM in pazienti che facevano chemioterapia
contro le metastasi ossee.
Il crescente numero di pubblicazioni a riguardo [tutti
casi report] porta nel 2005 la food and drugs administration
statunitense a lanciare un allerta mondiale. In
Italia enti, associazioni, quotidiani e show televisivi
s’interessano alla diatriba e nel 2006, sulla gazzetta ufficiale,
viene pubblicato un aggiornamento in cui si
esortano gli specialisti in odontoiatria a prestare molta
attenzione riguardo le terapie chirurgiche da effettuare
su questi pazienti.
Revisionando la letteratura, si può dire che su 368 casi di
osteonecrosi, associate ad uso di bifosfonati, i risultati dimostrino
come a fronte di un alto pericolo di insorgenza
di questa malattia per pazienti che fanno uso endovenoso
del farmaco [94%] a causa di problemi metastatici,
la percentuale investa un numero veramente esiguo
di pazienti che invece usano i bifosfonati per os nel trattamento
preventivo dell’osteoporosi [4,8%].
Inoltre dai risultati di altri studi pubblicati su famose riviste
scientifiche [Annals of Internal Medicine, maggio
2006], il numero di osteonecrosi dei mascellari di pazienti
che fanno uso di alendronato è di 0,7 pz su 100.000
trattate per anno.
Ovviamente questo non vuol dire che l’ONMsia una complicanza
impossibile, ma solo che la bassa percentuale
di casi con la quale possa verificarsi non può esser considerata
una controindicazione alla possibilità di ricorrere
a terapia implantare, quand’essa sia ritenuta possibile
dopo un’attenta analisi del caso clinico.
Nel 2004 giunge alla nostra attenzione la paziente S.P. di
anni 67, le cui condizioni di salute generale sono sostanzialmente
buone.
Foto 1 Situazione iniziale |
Foto 2 L’esito prognostico
osseo dopo l’estrazione
chirurgica degli elementi
residui è positivo ad 8
mesi. |
Foto 3 Gli impianti eseguiti nell’arcata
superiore vengono
collegati mediante
una barra alla quale si
aggancia la protesi. |
Foto 4 Protesi superiore |
Foto 5 Controllo ad un anno |
Foto 6 Controllo ad un
anno/sorriso |
All’anamnesi la paziente indica una lieve
ipertensione, controllata farmacologicamente,
ed una tendenza alla fragilità ossea,
indotta da uno stato di osteoporosi post-menopausale,
trattata con alendronato per via
orale.
All’esame obiettivo si evince una parziale
edentulia superiore ed inferiore, con abbondante
presenza di tartaro e compromissione
parodontale degli elementi dentari residui
[Foto 1].
La condizione clinica determina grave disagio
per la paziente non solo funzionale, ma
anche negli scambi sociali.
Dal piano di trattamento preliminare, in cui
si sono eseguite terapie d’igiene professionale
ogni tre settimane, la paziente ha dimostrato
grande motivazione nel mantenimento
domiciliare dei risultati ottenuti e nella
precisione con cui ha seguito gli appuntamenti.
Seguendo le indicazioni della letteratura internazionale
nel piano terapeutico, si è tentato
di salvare gli elementi residui senza ricorrere
a terapie di chirurgia parodontale.
Sono stati eseguiti splintaggio degli elementi
residui, e manovre parodontali non invasive
di scaling e root planing ogni 3 mesi, ma
la compromissione parodontale è risultata
troppo avanzata e, dopo circa un anno dalla
presa in carica del paziente, si è dovuto ricorrere
alla chirurgia estrattiva, previa terapia
antibiotica.
Effettuate le estrazioni dopo un periodo di
follow up di 8 mesi viste le buone condizioni
di salute generale ed ossea [Foto 2] e i dati
rilevati dalla letteratura; dopo aver opportunamente
informato la paziente sulle possibili
complicanze che tale terapia avrebbe
comportato abbiamo optato per l’esecuzione
del trattamento implanto-protesico.
A 5 fixture[Foto 3] inserite nel mascellare è stata agganciata un protesi totale[Foto
4]senza ritenzione palatina, la paziente è stata
sottoposta a controlli radiografici dopo un
mese e successivamente con cadenze trimestrali.
Ad un anno di distanza lo stato di
salute orale della paziente è ottimo così come
quello generale, e l’osteointegrazione
delle fixture risponde ai requisiti di stabilità
primaria richiesti dalla letteratura internazionale.
In conclusione e visti i risultati ottenuti ad un
anno di distanza dal carico della protesi,[Foto
5] il risultato del nostro caso report è il seguente:
analizzato bene il caso clinico, se le
condizioni generali consentono la chirurgia,
considerato il rapporto rischio/beneficio, tra
l’insorgenza di un osteonecrosi mascellare,
nel paziente che fa uso di bifosfonati per os e
la possibilità di ottenere un netto miglioramento
della qualità della vita, è opportuno
eseguire terapia implantoprotesica.[Foto 6]
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