MTM n°10
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 3 - Numero 6 - nov/dic 2004
Ricerca scientifica - L'alimentazione
 



Angelo Carere e Romano Zito
Angelo Carere e
Romano Zito



Anno 3 - Numero 6
nov/dic 2004

Vi sono grandi differenze biologiche fra una sostanza chimica pura, aggiunta agli alimenti, e la stessa presente in un estratto vegetale

 

La tendenza è di considerare solo rischi cancerogeni che possano essere ridotti da azioni individuali, come il fumo o l’alimentazione


L'alimentazione
Sostanze cancerogene
di Angelo Carere dirigente dell’Iss e libero docente di genetica
di Romano Zito dirigente presso l’Istituto dei tumori Regina Elena

Negli ultimi anni si sono avuti numerosi annunci della presenza negli alimenti di sostanze cancerogene. In molti casi si trattava di contaminazioni estranee all’alimento, come la presenza di residui di pesticidi, metalli pesanti, nitrosamine, diossine e Pcb, micotossine, oppure di trasformazioni chimiche di costituenti alimentari determinate dalle condizioni di preparazione, conservazione e cottura degli alimenti, come i cancerogeni che si formano nelle carni cotte ai ferri ad alte temperature [es.: benzo[a]pirene], o l’acrilamide formata nelle patatine fritte. Ma oltre a questi casi, ve ne sono altri in cui normali costituenti di alcuni alimenti sono risultati cancerogeni.
In questo articolo si vuole presentare il caso di costituenti di alcuni aromi vegetali diffusamente usati quali basilico, prezzemolo, cinnamomo ed altri, anche presenti in condimenti che li contengono quali il pesto.
Annunci di questo tipo, riportati acriticamente dai media, determinano due reazioni diffuse. La prima è che «tutto è cancerogeno» con conseguente angoscia da impotenza o rassegnato fatalismo; la seconda è che «non può essere, perché sono centinaia o migliaia di anni che si adoperano, e non è successo niente». Entrambe le reazioni sono sbagliate. Nel primo caso perché non è affatto vero che «tutto è cancerogeno», anzi sono relativamente pochi i cancerogeni fra gli innumerevoli composti chimici, naturali o fatti dall’uomo. Inoltre si dimentica spesso che l’induzione di un tumore è un evento altamente improbabile e che quindi piccole o piccolissime dosi, specie se assunte in modo discontinuo o per tempi brevi, riducono di molto la probabilità dell’induzione di un tumore.
Il secondo atteggiamento, che esclude un rischio cancerogeno per sostanze in uso da decenni, secoli o millenni, come ad esempio gli aromatizzanti, è ancora più sbagliato. Infatti non è vero che «non è successo niente», perché lo stabilire che una sostanza sia cancerogena per l’uomo, ricorrendo quindi alla epidemiologia dei tumori, è operazione complessa, difficile, lunga, ed in alcuni casi impossibile. Occorre infatti disporre di gruppi molto ampi [decine o centinaia di migliaia di persone] che consumino la sostanza sospetta, e di gruppi di controllo, altrettanto ampi, che non la consumino. Nel caso degli alimenti questo è spesso impossibile: i controlli sono di solito costituiti da gruppi che consumano la sostanza sospetta solo in minore quantità, con una considerevole diminuzione della sensibilità della ricerca epidemiologica. Se poi il tumore indotto dalla sostanza sospetta è di un tipo comune, come tumori polmonari, mammari ecc., che possono essere egualmente indotti da altri cancerogeni, soprattutto genotossici, occorre che l'incidenza dei tumori indotti dalla sostanza sospetta sia così alta, da essere statisticamente significativa, il che spesso è impossibile. L’uso prolungato di un alimento quindi non garantisce nulla: un modesto aumento di tumori comuni può passare del tutto inosservato anche se si fanno ampie ricerche epidemiologiche, e ancora più se queste ricerche non sono mai state fatte, che è il caso più frequente. Dopo queste necessarie premesse esaminiamo tre componenti di aromi vegetali risultati cancerogeni negli animali da esperimento: metileugenolo, estragolo e safrolo. Si tratta di sostanze che appartengono alla stessa famiglia chimica, gli allili aromatici, ed il cui meccanismo di azione cancerogena è lo stesso, cioè genotossico. Il nostro metabolismo epatico infatti li ossida in composti idrossilati capaci di danneggiare direttamente il Dna, per cui la loro azione cancerogena è da considerarsi senza soglia.
Sulla base di pareri espressi dal Comitato Scientifico dell’Alimentazione umana [Scf] il 26 settembre 2001 [metileugenolo ed estragolo] e 12 dicembre 2001 [safrolo]
[http://europa.eu.int/food/fs/sc/scf/outcome_en.html] l’Unione Europea [Ue] ha proibito l’uso negli alimenti di queste tre sostanze.Nel caso del metileugenolo, presente soprattutto nel basilico e nei condimenti che lo contengono quale il pesto, la conclusione dell’Scf era la seguente : «È stato dimostrato che il metileugenolo è genotossico e cancerogeno. Pertanto, l’esistenza di una soglia non può essere assunta ed il Comitato non ha potuto stabilire un limite di esposizione sicuro. Di conseguenza, vengono raccomandate riduzioni e restrizioni nell’uso». Conclusioni identiche sono state fatte anche per estragolo e safrolo. Come per molti prodotti naturali, la sintesi chimica di questi tre composti è facile, per la semplicità della loro struttura chimica, e quindi l’aggiunta della sostanza chimica di sintesi negli alimenti è molto meno costosa dell’aggiunta di estratti o preparazioni vegetali che la contengano naturalmente. La proibizione della Ue desta nei profani delle perplessità: perché tanto rigore verso la sostanza chimica pura, mentre se l’identica molecola è contenuta naturalmente in preparazioni vegetali se ne continua a permettere l’uso, limitandosi alla esortazione a diminuirne le quantità negli alimenti? Occorre spiegare che vi possono essere grandi differenze biologiche fra una sostanza chimica pura, aggiunta come tale agli alimenti, e la stessa presente in un estratto vegetale: quest’ultima, infatti, è accompagnata da un gran numero di altre sostanze, alcune delle quali, come le cellulose, possono diminuirne considerevolmente l’assorbimento. Inoltre nei vegetali sono molto spesso presenti molecole diverse che esercitano un’azione antiossidante, inibendo quindi l’attivazione di cancerogeni per ossidazione metabolica, come avviene per gli aromatizzanti allilici. Il rischio cancerogeno di miscele vegetali che contengano una sostanza cancerogena può essere quindi molto inferiore a quello che si ha aggiungendo all’alimento la sostanza pura. Il caso degli aromatizzanti allilici cancerogeni si presta ad una serie di ricerche sui vegetali che le contengono per determinare come la loro concentrazione cambia con lo sviluppo o il ceppo della pianta, e se vi sono condizioni o tipi di piante in cui, a parità di sapore e aroma, vi siano concentrazioni più basse dei cancerogeni. Si tratta di ricerche di prevenzione primaria [riduzione od eliminazione dei cancerogeni] che possono ridurre considerevolmente il rischio cancerogeno di questi aromatizzanti. A tale riguardo, facciamo notare che già nel 2001 alcuni ricercatori dell’Università di Genova avevano pubblicato un articolo molto interessante [Miele et al., J. Agr. Food Chem., 49, 517-521, 2001] sulla composizione in aromi di piantine di Ocimum basiculum [Genovese Gigante], a diversi stadi di crescita. Si tratta di un tipo di cultivar di basilico maggiormente usato nella preparazione del pesto. Con le loro ricerche questi autori avevano dimostrato che il metileugenolo è predominante nelle piantine inferiori a 10 cm di altezza, mentre l’eugenolo, sostanza non cancerogena e non genotossica, è prevalente nelle piantine più alte. Gli stessi autori suggerivano che il pesto venisse preparato con piantine di basilico più alte di 16 cm, quando l’eugenolo è il componente principale dell’essenza.
C’è da dire che l’entità del rischio cancerogeno degli aromi allilici è probabilmente molto piccola: sono cancerogeni di potenza medio-bassa e la loro assunzione, non è elevata né continua; tuttavia riguarda milioni di persone e quindi anche un modesto effetto cancerogeno potrebbe determinare, in Europa e nel resto del mondo, un numero di casi di tumore non irrilevante.
È ormai evidente che nella popolazione generale l’insieme dei tumori è determinato dalla somma di molti e diversi piccoli o minimi rischi cancerogeni contro i quali è spesso difficile prendere misure per ridurli o eliminarli. Tuttavia il caso di questi aromatizzanti è tale da permettere degli interventi efficaci, il cui primo passo è stata la proibizione della loro aggiunta come sostanze pure agli alimenti.
Occorre però dire che la tendenza generale è purtroppo quella di prendere in considerazione principalmente o solo rischi cancerogeni che possano essere controllati o ridotti da azioni individuali, come il fumo o l’alimentazione ricca di grassi e povera di vegetali, in modo da riversare tutta la responsabilità della prevenzione primaria sul singolo cittadino.
In questo modo si evitano difficili e costosi interventi, come ad esempio, quelli sull’inquinamento dell’aria urbana o delle acque, o la presenza di residui di contaminanti chimici pericolosi negli alimenti. Questa tendenza si sta purtroppo generalizzando, mentre si sa ormai che solo la sinergia fra azioni collettive e individuali può avere veramente una efficace prevenzione primaria dei tumori umani.