L'alimentazione
Sostanze cancerogene
di
Angelo Carere dirigente dell’Iss e libero docente di genetica
di Romano Zito dirigente presso l’Istituto dei tumori Regina
Elena
Negli
ultimi anni si sono avuti numerosi annunci della presenza negli
alimenti di sostanze cancerogene. In molti casi si trattava di contaminazioni
estranee all’alimento, come la presenza di residui di pesticidi,
metalli pesanti, nitrosamine, diossine e Pcb, micotossine, oppure
di trasformazioni chimiche di costituenti alimentari determinate
dalle condizioni di preparazione, conservazione e cottura degli
alimenti, come i cancerogeni che si formano nelle carni cotte ai
ferri ad alte temperature [es.: benzo[a]pirene], o l’acrilamide
formata nelle patatine fritte. Ma oltre a questi casi, ve ne sono
altri in cui normali costituenti di alcuni alimenti sono risultati
cancerogeni.
In questo articolo si vuole presentare il caso di costituenti di
alcuni aromi vegetali diffusamente usati quali basilico, prezzemolo,
cinnamomo ed altri, anche presenti in condimenti che li contengono
quali il pesto.
Annunci di questo tipo, riportati acriticamente dai media, determinano
due reazioni diffuse. La prima è che «tutto è
cancerogeno» con conseguente angoscia da impotenza o rassegnato
fatalismo; la seconda è che «non può essere,
perché sono centinaia o migliaia di anni che si adoperano,
e non è successo niente». Entrambe
le reazioni sono sbagliate. Nel primo caso perché non è
affatto vero che «tutto è cancerogeno», anzi
sono relativamente pochi i cancerogeni fra gli innumerevoli composti
chimici, naturali o fatti dall’uomo. Inoltre si dimentica
spesso che l’induzione di un tumore è un evento altamente
improbabile e che quindi piccole o piccolissime dosi, specie se
assunte in modo discontinuo o per tempi brevi, riducono di molto
la probabilità dell’induzione di un tumore.
Il secondo atteggiamento, che esclude un rischio cancerogeno per
sostanze in uso da decenni, secoli o millenni, come ad esempio gli
aromatizzanti, è ancora più sbagliato. Infatti non
è vero che «non è successo niente», perché
lo stabilire che una sostanza sia cancerogena per l’uomo,
ricorrendo quindi alla epidemiologia dei tumori, è operazione
complessa, difficile, lunga, ed in alcuni casi impossibile. Occorre
infatti disporre di gruppi molto ampi [decine o centinaia di migliaia
di persone] che consumino la sostanza sospetta, e di gruppi di controllo,
altrettanto ampi, che non la consumino. Nel caso degli alimenti
questo è spesso impossibile: i controlli sono di solito costituiti
da gruppi che consumano la sostanza sospetta solo in minore quantità,
con una considerevole diminuzione della sensibilità della
ricerca epidemiologica. Se poi il tumore indotto dalla sostanza
sospetta è di un tipo comune, come tumori polmonari, mammari
ecc., che possono essere egualmente indotti da altri cancerogeni,
soprattutto genotossici, occorre che l'incidenza dei tumori indotti
dalla sostanza sospetta sia così alta, da essere statisticamente
significativa, il che spesso è impossibile. L’uso prolungato
di un alimento quindi non garantisce nulla: un modesto aumento di
tumori comuni può passare del tutto inosservato anche se
si fanno ampie ricerche epidemiologiche, e ancora più se
queste ricerche non sono mai state fatte, che è il caso più
frequente. Dopo queste necessarie premesse esaminiamo tre componenti
di aromi vegetali risultati cancerogeni negli animali da esperimento:
metileugenolo, estragolo e safrolo. Si tratta di sostanze che appartengono
alla stessa famiglia chimica, gli allili aromatici, ed il cui meccanismo
di azione cancerogena è lo stesso, cioè genotossico.
Il nostro metabolismo epatico infatti li ossida in composti idrossilati
capaci di danneggiare direttamente il Dna, per cui la loro azione
cancerogena è da considerarsi senza soglia.
Sulla base di pareri espressi dal Comitato Scientifico dell’Alimentazione
umana [Scf] il 26 settembre 2001 [metileugenolo ed estragolo] e
12 dicembre 2001 [safrolo]
[http://europa.eu.int/food/fs/sc/scf/outcome_en.html] l’Unione
Europea [Ue] ha proibito l’uso negli alimenti di queste tre
sostanze.Nel caso del metileugenolo, presente soprattutto nel basilico
e nei condimenti che lo contengono quale il pesto, la conclusione
dell’Scf era la seguente : «È stato dimostrato
che il metileugenolo è genotossico e cancerogeno. Pertanto,
l’esistenza di una soglia non può essere assunta ed
il Comitato non ha potuto stabilire un limite di esposizione sicuro.
Di conseguenza, vengono raccomandate riduzioni e restrizioni nell’uso».
Conclusioni identiche sono state fatte anche per estragolo e safrolo.
Come per molti prodotti naturali, la sintesi chimica di questi tre
composti è facile, per la semplicità della loro struttura
chimica, e quindi l’aggiunta della sostanza chimica di sintesi
negli alimenti è molto meno costosa dell’aggiunta di
estratti o preparazioni vegetali che la contengano naturalmente.
La proibizione della Ue desta nei profani delle perplessità:
perché tanto rigore verso la sostanza chimica pura, mentre
se l’identica molecola è contenuta naturalmente in
preparazioni vegetali se ne continua a permettere l’uso, limitandosi
alla esortazione a diminuirne le quantità negli alimenti?
Occorre spiegare che vi possono essere grandi differenze biologiche
fra una sostanza chimica pura, aggiunta come tale agli alimenti,
e la stessa presente in un estratto vegetale: quest’ultima,
infatti, è accompagnata da un gran numero di altre sostanze,
alcune delle quali, come le cellulose, possono diminuirne considerevolmente
l’assorbimento. Inoltre nei vegetali sono molto spesso presenti
molecole diverse che esercitano un’azione antiossidante, inibendo
quindi l’attivazione di cancerogeni per ossidazione metabolica,
come avviene per gli aromatizzanti allilici. Il rischio cancerogeno
di miscele vegetali che contengano una sostanza cancerogena può
essere quindi molto inferiore a quello che si ha aggiungendo all’alimento
la sostanza pura. Il caso degli aromatizzanti allilici cancerogeni
si presta ad una serie di ricerche sui vegetali che le contengono
per determinare come la loro concentrazione cambia con lo sviluppo
o il ceppo della pianta, e se vi sono condizioni o tipi di piante
in cui, a parità di sapore e aroma, vi siano concentrazioni
più basse dei cancerogeni. Si tratta di ricerche di prevenzione
primaria [riduzione od eliminazione dei cancerogeni] che possono
ridurre considerevolmente il rischio cancerogeno di questi aromatizzanti.
A tale riguardo, facciamo notare che già nel 2001 alcuni
ricercatori dell’Università di Genova avevano pubblicato
un articolo molto interessante [Miele et al., J. Agr. Food Chem.,
49, 517-521, 2001] sulla composizione in aromi di piantine di Ocimum
basiculum [Genovese Gigante], a diversi stadi di crescita. Si tratta
di un tipo di cultivar di basilico maggiormente usato nella preparazione
del pesto. Con le loro ricerche questi autori avevano dimostrato
che il metileugenolo è predominante nelle piantine inferiori
a 10 cm di altezza, mentre l’eugenolo, sostanza non cancerogena
e non genotossica, è prevalente nelle piantine più
alte. Gli stessi autori suggerivano che il pesto venisse preparato
con piantine di basilico più alte di 16 cm, quando l’eugenolo
è il componente principale dell’essenza.
C’è da dire che l’entità del rischio cancerogeno
degli aromi allilici è probabilmente molto piccola: sono
cancerogeni di potenza medio-bassa e la loro assunzione, non è
elevata né continua; tuttavia riguarda milioni di persone
e quindi anche un modesto effetto cancerogeno potrebbe determinare,
in Europa e nel resto del mondo, un numero di casi di tumore non
irrilevante.
È ormai evidente che nella popolazione generale l’insieme
dei tumori è determinato dalla somma di molti e diversi piccoli
o minimi rischi cancerogeni contro i quali è spesso difficile
prendere misure per ridurli o eliminarli. Tuttavia il caso di questi
aromatizzanti è tale da permettere degli interventi efficaci,
il cui primo passo è stata la proibizione della loro aggiunta
come sostanze pure agli alimenti.
Occorre però dire che la tendenza generale è purtroppo
quella di prendere in considerazione principalmente o solo rischi
cancerogeni che possano essere controllati o ridotti da azioni individuali,
come il fumo o l’alimentazione ricca di grassi e povera di
vegetali, in modo da riversare tutta la responsabilità della
prevenzione primaria sul singolo cittadino.
In questo modo si evitano difficili e costosi interventi, come ad
esempio, quelli sull’inquinamento dell’aria urbana o
delle acque, o la presenza di residui di contaminanti chimici pericolosi
negli alimenti. Questa tendenza si sta purtroppo generalizzando,
mentre si sa ormai che solo la sinergia fra azioni collettive e
individuali può avere veramente una efficace prevenzione
primaria dei tumori umani. |