MTM n°11
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 4 - Numero 1 - gen/apr 2005
Il medico di famiglia
 


Daniele Zamperini
Daniele Zamperini

Anno 4 - Numero 1
gen/apr 2005

Il malessere nasce dalla mancanza
di chiarezza, di una contrattazione leale e condivisa.
Resta la sensazione
di essere stati “traditi”, e che
si tratti solo di un accordo politico



 

Convenzione: un accordo-ponte denso di ambiguità
Sottovalutato ancora una volta il ruolo dei medici di famiglia
di Daniele Zamperini

Daniele Zamperini, medico di Famiglia a Roma,
plurispecialista, socio di importanti Società Scientifiche.
Giornalista, dirige e collabora con diverse testate di aggiornamento.
Segretario Provinciale dell' Unione Nazionale Medici di Famiglia [Unamef].

È giunto alla fine l’iter di una delle più tormentate Convenzioni: dopo un lunghissimo scontro con il nuovo organismo collegiale [la Sisac, rappresentativo delle Regioni], si è pervenuti, con ben 5 anni di ritardo, alla firma. La “bocciatura” della Corte dei Conti, ha poi temporaneamente aperto la possibilità di rimettere tutto in discussione. Questa possibilità è stata accolta con preoccupazione da quei medici che temevano un nuovo rinvio e un ricalcolo al ribasso dell’aspetto economico, con soddisfazione di coloro che invece, noncuranti di ciò, chiedevano una profonda immediata revisione. Gli aumenti economici sono stati valutati da molti come insufficienti a recuperare il potere d’acquisto perso nei 5 anni di attesa, e troppo legati a nebulosi accordi futuri. Al di là del balletto delle cifre, infatti, l’aumento dei costi di gestione dovuto all’inflazione reale rende assolutamente insufficiente il nuovo compenso garantito; le esperienze trascorse non sono poi tranquillizzanti a proposito della quota aggiuntiva che dovrebbe essere elargita dalle Regioni in base a criteri e progetti locali. Appaiono deliberatamente favoriti unicamente gli aderenti alle forme più spinte di associazionismo, mentre assolutamente [e volutamente] trascurata è la figura del medico di famiglia che siamo abituati a conoscere. Vengono poi pesantemente contestati: l’abolizione delle fasce di anzianità e dei corrispondenti scatti economici, con l’abolizione di ogni progressione economica; il meccanismo “a scalini” delle fasce di remunerazione, con insorgenza di situazioni paradossali; l’obbligo di un orario minimo tassativo per fasce di utenza, per cui diventa addirittura antieconomico, in certi casi, acquisire nuovi assistiti. Inoltre: partecipare ai progetti regionali diventa obbligatorio; si ribadisce il divieto assoluto di iscrizione ad una scuola di specializzazione; viene tolta la convenzione a chi abbia meno di 300 scelte [numero eccessivo in certi ambiti territoriali]; molte norme [come quella sulle ferie] sono ambigue e si presteranno a difformi interpretazioni e a contestazioni continue. C’è un malessere conseguente a mancanza di chiarezza, di contrattazione leale e condivisa, con la sensazione di essere “traditi”, e che si tratti solo di un accordo “politico” ottenuto sottobanco da alcuni interlocutori privilegiati. Alcuni Sindacati [come l’Unamef] e molti medici lo considerano quindi solo un accordo-ponte, e lo accettano solo per il fatto che scadrà tra pochi mesi.


Pazientemente
Uno-due, uno-due, a spasso con la nuova ricetta

Avanti e indietro, tra la farmacia e il nostro medico di famiglia. Sembra essere questo il destino dei pazienti in seguito all’introduzione del nuovo ricettario, la cui compilazione ha messo nel caos gli stessi medici. Ad alimentare la tensione la stessa intransigenza della classe dei farmacisti italiani decisa ad applicare con ferocia i dettami di legge della compilazione della nuova ricetta. In mezzo come sempre il paziente che, oltre ad una buona dose di calma, dovrà procurarsi anche un buon paio di scarpe da ginnastica.


Dubbi medici
Anni fa curavo mio padre, cardiopatico ed obeso. Poiché l'imperativo categorico era dimagrire, lo costrinsi a grandi sacrifici dietetici con notevole perdita di peso. All'inizio sembrava giovarsi di questa dieta, ma proseguendo andò invece peggiorando fino all'exitus. Da allora non ho più spinto i miei pazienti cardiopatici a misure così drastiche. Ora cosa trovo nella letteratura? Due studi distinti, ma con conclusioni concordi, uno della Yale University [Curtis JP et al; Arch. Intern. Med. 2005; 165: 55-61], l'altro del Physicians Health Study [Gruberg et al; J. Am. Coll. Cardiol; 2002; 39: 4: 578-584], i quali arruolando complessivamente oltre 17.000 cardiopatici, comunicano che le loro statistiche dimostrano che il rischio di mortalità è inversamente proporzionale all'indice di massa corporea, intendendo cioè che i pazienti sovrappeso hanno il più basso rischio di mortalità e che il più alto è proprio di chi è sottopeso. Lo chiamano il "paradosso dell'obesità". Nessun commento; ma mi domando: quali altre certezze noi medici saremo costretti a rivedere?