Convenzione:
un accordo-ponte denso di ambiguità
Sottovalutato
ancora una volta il ruolo dei medici di famiglia
di Daniele Zamperini
Daniele
Zamperini, medico di Famiglia a Roma,
plurispecialista, socio di importanti Società Scientifiche.
Giornalista, dirige e collabora con diverse testate di aggiornamento.
Segretario Provinciale dell' Unione Nazionale Medici di Famiglia
[Unamef].
È
giunto alla fine l’iter di una delle più tormentate
Convenzioni: dopo un lunghissimo scontro con il nuovo organismo
collegiale [la Sisac, rappresentativo delle Regioni], si è
pervenuti, con ben 5 anni di ritardo, alla firma. La “bocciatura”
della Corte dei Conti, ha poi temporaneamente aperto la possibilità
di rimettere tutto in discussione. Questa possibilità è
stata accolta con preoccupazione da quei medici che temevano un
nuovo rinvio e un ricalcolo al ribasso dell’aspetto economico,
con soddisfazione di coloro che invece, noncuranti di ciò,
chiedevano una profonda immediata revisione. Gli aumenti economici
sono stati valutati da molti come insufficienti a recuperare il
potere d’acquisto perso nei 5 anni di attesa, e troppo legati
a nebulosi accordi futuri. Al di là del balletto delle cifre,
infatti, l’aumento dei costi di gestione dovuto all’inflazione
reale rende assolutamente insufficiente il nuovo compenso garantito;
le esperienze trascorse non sono poi tranquillizzanti a proposito
della quota aggiuntiva che dovrebbe essere elargita dalle Regioni
in base a criteri e progetti locali. Appaiono deliberatamente favoriti
unicamente gli aderenti alle forme più spinte di associazionismo,
mentre assolutamente [e volutamente] trascurata è la figura
del medico di famiglia che siamo abituati a conoscere. Vengono poi
pesantemente contestati: l’abolizione delle fasce di anzianità
e dei corrispondenti scatti economici, con l’abolizione di
ogni progressione economica; il meccanismo “a scalini”
delle fasce di remunerazione, con insorgenza di situazioni paradossali;
l’obbligo di un orario minimo tassativo per fasce di utenza,
per cui diventa addirittura antieconomico, in certi casi, acquisire
nuovi assistiti. Inoltre: partecipare ai progetti regionali diventa
obbligatorio; si ribadisce il divieto assoluto di iscrizione ad
una scuola di specializzazione; viene tolta la convenzione a chi
abbia meno di 300 scelte [numero eccessivo in certi ambiti territoriali];
molte norme [come quella sulle ferie] sono ambigue e si presteranno
a difformi interpretazioni e a contestazioni continue. C’è
un malessere conseguente a mancanza di chiarezza, di contrattazione
leale e condivisa, con la sensazione di essere “traditi”,
e che si tratti solo di un accordo “politico” ottenuto
sottobanco da alcuni interlocutori privilegiati. Alcuni Sindacati
[come l’Unamef] e molti medici lo considerano quindi solo
un accordo-ponte, e lo accettano solo per il fatto che scadrà
tra pochi mesi.
Pazientemente
Uno-due, uno-due, a spasso con la nuova ricetta
Avanti e indietro, tra la farmacia e il nostro medico di famiglia.
Sembra essere questo il destino dei pazienti in seguito all’introduzione
del nuovo ricettario, la cui compilazione ha messo nel caos gli
stessi medici. Ad alimentare la tensione la stessa intransigenza
della classe dei farmacisti italiani decisa ad applicare con ferocia
i dettami di legge della compilazione della nuova ricetta. In mezzo
come sempre il paziente che, oltre ad una buona dose di calma, dovrà
procurarsi anche un buon paio di scarpe da ginnastica.
Dubbi
medici
Anni fa curavo mio padre, cardiopatico ed obeso.
Poiché l'imperativo categorico era dimagrire, lo costrinsi
a grandi sacrifici dietetici con notevole perdita di peso. All'inizio
sembrava giovarsi di questa dieta, ma proseguendo andò invece
peggiorando fino all'exitus. Da allora non ho più spinto
i miei pazienti cardiopatici a misure così drastiche. Ora
cosa trovo nella letteratura? Due studi distinti, ma con conclusioni
concordi, uno della Yale University [Curtis JP et al; Arch. Intern.
Med. 2005; 165: 55-61], l'altro del Physicians Health Study [Gruberg
et al; J. Am. Coll. Cardiol; 2002; 39: 4: 578-584], i quali arruolando
complessivamente oltre 17.000 cardiopatici, comunicano che le loro
statistiche dimostrano che il rischio di mortalità è
inversamente proporzionale all'indice di massa corporea, intendendo
cioè che i pazienti sovrappeso hanno il più basso
rischio di mortalità e che il più alto è proprio
di chi è sottopeso. Lo chiamano il "paradosso dell'obesità".
Nessun commento; ma mi domando: quali altre certezze noi medici
saremo costretti a rivedere? |