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Dhanvantari
è considerato il dio che portò la conoscenza
dell’Ayurveda al genere umano.
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Pancha
Karma, antiche tecniche di purificazione e ringiovanimento
Intervista a Ernesto Jannaccone di Laura
Pappadà
Ernesto Jannaccone vive a Roma;
medico specialista in igiene e medicina preventiva, pratica l’Ayurveda
dal 1985.
Ha compiuto numerosi soggiorni di studio in India. Ha scritti due
libri sull’Ayurveda pubblicati da Tecniche Nuove.
Il Pancha karma viene considerata
una delle terapie principali dell’Ayurveda. Di che si tratta
esattamente?
È una terapia molto antica, in grado di trattare, secondo
i Veda, qualsiasi disordine. Prevede cinque tecniche evacuative
[dal sanscrito cinque azioni]: purificazione delle vie nasali [instillazioni],
dello stomaco [vomito], dell’intestino tenue [purgazione],
del colon [clisteri]. L’ultima tecnica il salasso, non è
più applicata da tutte le scuole. Lo scopo è di eliminare
dall’organismo i dosha in eccesso, utilizzando le vie d’uscita
naturali: bocca, intestino, narici.
Nel tempo il termine Pancha karma si è esteso, andando a
comprendere anche una serie di trattamenti collaterali preparatori.
I trattamenti collaterali, quindi, hanno la funzione di
agevolare l’eliminazione dei dosha in eccesso…
Certo. I dosha in eccesso aderiscono ai tessuti; bisogna scioglierli
perché si distacchino e vengano convogliati nei principali
canali di raccolta e poi espulsi. Questo viene fatto somministrando
sostanze oleose e tramite massaggi. La cura può variare a
seconda dei casi ma le sequenze dei trattamenti sono dettagliatamente
codificate nei testi antichi. È una tecnica molto raffinata,
basti pensare che sono previsti almeno quaranta tipi di clisteri
con diversi ingredienti. In Occidente, qualcosa di simile è
la idrocolonterapia che ritengo però molto grossolana: l’intestino
è una nicchia ecologica importante, va trattato con particolare
cura. Secondo gli indiani questo tipo di lavaggio del colon è
come uno tsunami per l’intestino.
Su quali disturbi il Pancha Karma può intervenire
efficacemente?
In India si usa principalmente nella cura di disordini cronici come
l’ipertensione, l’artrite reumatoide, ma ha anche valenza
preventiva. In Occidente molti disturbi sono legati allo stress,
c’è un grande bisogno di rilassamento: il dhara [oliazione
della testa], in questi casi, è il trattamento più
adatto.
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Yantra Svastica, rappresenta
il movimento di rotazion intorno al “Centro”,
simbolo della vita |
È stato possibile
verificare attraverso studi clinici controllati l’efficacia
dell’Ayurveda?
Sono stati effettuati studi di questo genere, ma l’accreditamento
che ne deriva è molto parziale.
Gli studi clinici validano l’azione di singoli principi attivi
e non contemplano lo stato della mente dell’individuo, ma
si concentrano sul preparato che inibisce il problema. La medicina
ayurvedica si avvale di preparati composti ad arte, da più
ingredienti; considera il malessere correlato allo stile di vita,
alle abitudini, ai sentimenti, alle emozioni. Accompagna l’individuo
nel suo cambiamento, dà indicazioni sulla dieta alimentare
più adatta, su come gestire lo stress, come aiutarsi con
la respirazione. È una scienza completa, che cura sia mente
che corpo: è questo il credito che bisogna riconoscere all’Ayurveda.
Altro aspetto da non trascurare: le cure ayurvediche rispetto ai
farmaci moderni hanno la centesima parte di effetti collaterali.
Perché ha scelto di operare nella medicina ayurvedica?
Condivido la filosofia su cui si basa. Questa medicina non ha come
obiettivo la guarigione a tutti i costi: secondo i Veda non tutte
le malattie possono essere curate; il medico accompagna la persona
nel suo percorso che non è sempre di guarigione.
I testi ayurvedici veicolano soprattutto una sapienza, non soltanto
un sistema medico. La salute è un prodotto della consapevolezza,
quindi, anche il risultato delle nostre scelte, che non devono essere
meccaniche come spesso accade, ma rispecchiare il più possibile
la nostra vera natura.
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