Scienza,
partita a scacchi con la morte
Scienziati
di Pittsburgh inducono la morte clinica negli animali e li resuscitano
dopo tre ore
di Vito Scalisi
Ricerca
e medicina scientifica viaggiano ormai da anni a ritmi vertiginosi.
Ad un surplus di sperimentazioni da laboratorio, i cui confini di
applicazione appaiono ancora estremamente labili e privi di una
universale regolamentazione, corrisponde un lento percorso di appropriazione
di significati teorici in grado di svelare nuove strutture semantiche
e relazionali esistenti nel rapporto tra la vita e la morte, sufficienti
a gettare nella contraddizione interi sistemi di valori giudicati
sino ad oggi acquisizioni indubitabili del genere umano. Sottolineare
l’efficacia e l’importanza di preservare tali sistemi
di valori è stato il compito forsennato su cui hanno costruito
il loro potere regimi e dittature del passato e su cui fondano la
sopravvivenza istituzioni politiche, religiose ed economiche di
oggi. Quanto compiuto qualche mese fa da alcuni ricercatori di Pittsburg
e riportato da Repubblica.it, rappresenta forse il limite più
alto raggiunto nel tentativo di privare la morte delle sue credenziali
escatologiche: «Riportare in vita un gruppo di cani dopo aver
verificato per tre ore l’assenza di qualunque segnale nei
loro corpi».
L’istituzione che sta dietro questa ricerca ai limiti della
realtà è il Safar Center for Resuscitation Research,
fondato da Peter J. Safar, universalmente riconosciuto come l’inventore
della respirazione bocca a bocca e della rianimazione cardiopolmonare.
Gli scienziati di Pittsburgh hanno preso un gruppo di cani, ne hanno
svuotato le vene del sangue presente, sostituendolo con una soluzione
salina a 7 gradi centigradi di temperatura inducendo infine gli
animali ad uno stato di morte apparente. Dopo tre ore in queste
condizioni, hanno ripompato il sangue nel corpo delle bestie che,
stimolate con elettroshock e ossigeno per rimettere in moto cuore
e polmoni, hanno ripreso a vivere, apparentemente senza alcun danno
agli organi vitali. Mentre già alcune organizzazioni animaliste
hanno espresso il loro rifiuto nei confronti di questo genere di
studi, queste sperimentazioni piacciono di più ai vertici
militari che in questa tecnica hanno visto la possibilità
di iniettare la soluzione gelata nelle vene di soldati seriamente
feriti e lasciarli inerti a lungo, in attesa di soccorsi, senza
che i loro organi vitali risultino compromessi. Ma c’è
già chi teme usi meno ortodossi del sistema: qualcuno in
cerca di esperienze forti potrebbe infatti sottoporsi deliberatamente
al trattamento per un viaggio di tre ore nell’aldilà.
Il percorso per fortuna è ancora lungo e bisognerà
attendere almeno fino al 2015 per verificare le reali implicazioni
di tali esperimenti, data indicata dagli scienziati per l’inizio
della sperimentazione sull’uomo.
Linea
mortale, l’aldilà a portata di scienza
Linea mortale torna d’attualità dopo il recente esperimento
effettuato da scienziati di Pittsburgh. Il film del 1990, diretto
da Joel Schumacher, narra le vicende di un gruppo di studenti di
medicina che sperimentano su se stessi la morte indotta chimicamente
con l’unico scopo di provare l’esistenza dell’aldilà.
Il titolo originale del film, Flatliners, deriva dal termine inglese
flatline, linea piatta. Questa linea viene visualizzata sulla strumentazione
medica collegata ad un paziente quando il cuore di quest’ultimo
si ferma. La trama narra di gruppo di amici dell’università
intenti in un controverso esperimento scientifico. L’idea
è semplice, provocare la morte tramite forti dosi di medicinali
e resuscitare, grazie alla scienza, per poi raccontare agli altri
la propria esperienza nell’aldilà. Ognuno nel gruppo
partecipa per la voglia di sperimentare e poco per volta diventa
una sorta di scommessa a chi resterà morto più a lungo.
Ma dopo poco tempo il gruppo si trova a fare i conti con oscure
presenze, a volte violente, come nel caso di Nelson, che sembrano
volerli punire per eventi del loro passato.
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