Il senso della sofferenza
Dalla Lettera Apostolica Salvifici Doloris, sul valore salvifico
della sofferenza umana, di Giovanni Paolo II
di Don Primo Martinuzzi
Il
grande comandamento
Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro,
che devo fare per ereditare la vita eterna? ». Gesù
gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi
leggi? » Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo
con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua
forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso».
E Gesù: «Hai risposto bene; fà questo e vivrai».
Parabola del
buon Samaritano
Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E
chi è il mio prossimo?». Gesù riprese: «Un
uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti
che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo
mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima
strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte.
Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre.
Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo
vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò
le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo
giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.
Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore,
dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più,
te lo rifonderò
al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo
di colui che è incappato nei briganti? ». Quegli rispose:
«Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse:
«Và e anche tu fà lo stesso».
Mediante questa parabola Cristo volle
dare risposta alla domanda: «Chi è il mio prossimo?».
Infatti, fra i tre passanti lungo la via da Gerusalemme a Gerico,
dove giaceva per terra mezzo morto un uomo rapinato e ferito dai
briganti, proprio il Samaritano dimostrò di essere davvero
il "prossimo" per quell’infelice: "prossimo"
significa anche colui che adempì il comandamento dell’amore
del prossimo. La parabola del buon Samaritano appartiene al Vangelo
della sofferenza. Essa indica, infatti, quale debba essere il rapporto
di ciascuno di noi verso il prossimo sofferente. Non ci è
lecito "passare oltre" con indifferenza, ma dobbiamo "fermarci"
accanto a lui. Buon Samaritano è ogni uomo, che si ferma
accanto alla sofferenza di un altro uomo, qualunque essa sia. Quel
fermarsi non significa curiosità, ma disponibilità.
Questa è come l’aprirsi di una certa interiore disposizione
del cuore, che ha anche la sua espressione emotiva. Buon Samaritano
è ogni uomo sensibile alla sofferenza altrui, l’uomo
che "si commuove" per la disgrazia del prossimo. Se Cristo,
conoscitore dell’interno dell’uomo, sottolinea questa
commozione, vuol dire che essa è importante per tutto il
nostro atteggiamento di fronte alla sofferenza altrui. Bisogna,
dunque, coltivare in sé questa sensibilità del cuore,
che testimonia la compassione verso un sofferente. A volte questa
compassione rimane l’unica o principale espressione del nostro
amore e della nostra solidarietà con l’uomo sofferente.
Tuttavia, il buon Samaritano della parabola di Cristo non si ferma
alla sola commozione e compassione. Queste diventano per lui uno
stimolo alle azioni che mirano a portare aiuto all’uomo ferito.
Buon Samaritano è, dunque, in definitiva colui che porta
aiuto nella sofferenza, di qualunque natura essa sia. Aiuto, in
quanto possibile, efficace. In esso egli mette il suo cuore, ma
non risparmia neanche i mezzi materiali. Si può dire che
dà se stesso, il suo proprio "io", aprendo quest’"io"
all’altro. Tocchiamo qui uno dei punti-chiave di tutta l’antropologia
cristiana. L’uomo non può «ritrovarsi pienamente
se non attraverso un dono sincero di sé». Il mondo
dell’umana sofferenza invoca, per così dire, senza
sosta un altro mondo: quello dell’amore umano; e quell’amore
disinteressato, che si desta nel suo cuore e nelle sue opere, l’uomo
lo deve in un certo senso alla sofferenza. Non senza ragione anche
nel linguaggio comune viene chiamata opera "da buon samaritano"
ogni attività in favore degli uomini sofferenti e bisognosi
di aiuto. Quest’attività assume, nel corso dei secoli,
forme istituzionali organizzate e costituisce un campo di lavoro
nelle rispettive professioni. Quanto è "da buon samaritano"
la professione del medico, o dell’infermiera, o altre simili!
In ragione del contenuto "evangelico", racchiuso in essa,
siamo inclini a pensare qui piuttosto ad una vocazione, che non
semplicemente ad una professione. E le istituzioni che, nell'arco
delle generazioni, hanno compiuto un servizio "da samaritano",
ai nostri tempi si sono ancora maggiormente sviluppate e specializzate.
Ciò prova indubbiamente che l'uomo di oggi si ferma con sempre
maggiore attenzione e perspicacia accanto alle sofferenze del prossimo,
cerca di comprenderle e di prevenirle sempre più esattamente.
Egli possiede anche una sempre maggiore capacità e specializzazione
in questo settore. Guardando a tutto questo, possiamo dire che la
parabola del Samaritano del Vangelo è diventata una delle
componenti essenziali della cultura morale e della civiltà
universalmente umana. E pensando a tutti quegli uomini, che con
la loro scienza e la loro capacità rendono molteplici servizi
al prossimo sofferente, non possiamo esimerci dal rivolgere al loro
indirizzo parole di riconoscimento e di gratitudine.
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