Placebo ed
effetto placebo
Considerato un fattore perturbante dalla medicina ufficiale, riduce dolori cronici, asma, ipertensione, angina pectoris
di Luigi Guacci
Tutti
i medici sanno cos'è il placebo, ma penso che... repetita
juvant. Tanto più che non molti si sono presi la briga di
leggere una piccola parte dei fiumi di letteratura esistente sull'argomento,
nè mi pare che questo sia trattato organicamente in qualche
esame del corso di laurea. Fiumi di letteratura, dicevo, che mi
è stato alquanto difficile condensare in questa breve nota
informativa, e questa alla fine risulterà sicuramente carente.
La medicina, nel tentativo di trovare una strada certa per dare
validità al suo operato, ha trovato su questa strada dei
fattori "perturbanti". Essi sono soprattutto la complessità
e la variabilità degli organismi, il conflitto di interessi
che inficia, soprattutto negli ultimi decenni, i risultati della
ricerca, e "l'effetto placebo". Tralasciamo la storia.
Il termine "placebo" indica una sostanza inattiva e innocua
che viene somministrata al paziente facendogli credere che si tratta
di un farmaco attivo. La storia "moderna" dei suoi effetti
si può far iniziare dall'articolo del 1955 di H.K.Beecher
The powerful placebo, dove l'effetto placebo viene quantificato
in varie patologie in circa il 30% di risultati positivi e quindi
proposto addirittura come trattamento medico. A partire approssimativamente
da questa data la valutazione dell'efficacia di un farmaco viene
perciò provata in doppio cieco verso il placebo, laddove
neanche il medico può distinguere il farmaco dal placebo,
che deve essere una sostanza inerte ed avere confezione, colore
e forma uguali a quelle del farmaco. La validità del farmaco
viene acce rtata quando, dopo la decodificazione, il gruppo che
ha assunto il farmaco in prova ha avuto risultati statisticamente
migliori rispetto al gruppo che ha assunto il placebo. Ad influire
sull'effetto sono stati individuati numerosi fattori, come il prestigio
dell'ambiente, la fiducia che si ha del medico, il “Professore”,
l'attenzione e la meticolosità della visita, infine lo stato
psicologico e le aspettative dei pazienti, per cui qualcuno ha voluto
classificarli in placebo-responders e placebo non responders: ai
primi è stata anche trovata una percentuale [39% dei pazienti].
Secondo Moertel sono responders i maschi più delle femmine,
chi ha subito una interruzione traumatica del matrimonio più
degli sposati o mai sposati, le donne con prole più di quelle
senza; ma questi dati non sono confermati. L'effetto
placebo alle volte è veramente sorprendente: può ridurre
i dolori cronici, l'asma, l'ipertensione, l'angina pectoris ecc.
e può far sentire anche gli effetti collaterali non voluti
del farmaco di riferimento [effetto nocebo]. Bevendo una certa quantità
di bevanda analcoolica credendo che sia alcoolica, molti si sentiranno
ebbri. E c'è anche il placebo chirurgico: in passato si usava
la legatura di alcune arterie per la cura dell'angina pectoris,
ma si constatò presto che i risultati erano uguali, se non
inferiori, a quelli ottenuti con una semplice incisione cutanea
suturata. E proseguendo sulla strada degli esempi, non si può
non ricordare che tempo fa negli USA furono vendute per corrispondenza
delle pillole inerti dicendo che si trattava di sildenafil. Molti,
forse spinti dalla partner, le acquistarono senza consultare il
medico, e sorprendentemente le trovarono più efficaci del
vero sildenafil, che fu testato in un secondo momento. Del resto,
salvando l'acido Acetilsalicilico, le foglie di digitale e qualche
altro prodotto erboristico, quasi tutta la farmacopea anteriore
agli anni '50 era evidentemente placebo. Come funziona il placebo?
Il meccanismo che è venuto subito in mente a chi se ne è
occupato è quello psicologico, proprio perchè legato
alle aspettative del paziente tanto da aver individuato dei gruppi
di placebo-responders; ma non era facile capire il meccanismo. Tanto
che qualcuno disse che accade come quando facciamo rifunzionare
un macchinario che si è fermato assestandogli dei bei colpi
sull'esterno, ma noi non sappiamo perchè. Altri hanno interpretato
l'effetto placebo come riflesso condizionato di tipo pavloviano,
secondo il quale un paziente che abbia avuto buon risultato dall'uso
di un certo farmaco o dalle prescrizioni di un certo medico, avrà
effetti simili dalla somministrazione di un placebo avente uguale
aspetto o che sia stato prescritto dallo stesso medico. Tutte queste
strane evidenze hanno spinto numerosi ricercatori in tutto il mondo
a cercare le basi biologiche dell'effetto placebo, e ci sono già
dei risultati. Il National Institutes of Health [NIH] degli USA,
con un fortissimo finanziamento, ha iniziato alla fine del 2000
il progetto La scienza del placebo, un lavoro multicentrico interdisciplinare,
coinvolgendo ricercatori di tutto il mondo. I primi riscontri sui
meccanismi biologici del placebo riguardano l'analgesia: i lavori
di Fabrizio Benedetti, dell'Istituto Rita Levi Montalcini dell'Università
di Torino e Condirettore del progetto NIH, lavori pubblicati nel
1999 sul Journal of Neurosience, dimostrano che l'analgesia da placebo
è strettamente legata alle endorfine. Infatti in due gruppi
di pazienti il gruppo trattato con soluzione fisiologica rispondeva
allo stimolo dolorifico come il gruppo che assumeva morfina; e come
riprova, in un secondo momento veniva aggiunto alla soluzione fisiologica
del naloxone e l'effetto analgesico scompariva. Il naloxone, notoriamente,
blocca i recettori per gli oppioidi endogeni. Questi risultati sono
stati poi confermati da studi con apparecchiature per immagini [PET]
nel Karolinska Institutet di Stoccolma. L'effetto sul dolore è
però l'unico ad aver avuto la dimostrazione di una qualche
base biologica. Permangono inoltre interrogativi sulle possibili
applicazioni cliniche del placebo: una delle linee di ricerca dei
NIH è proprio lo sviluppo e la valutazione di protocolli
che utilizzino il placebo in sostituzione o in associazione con
farmaci di efficacia certa: ad esempio si può diminuire la
quantità totale di morfina facendo somministrazioni alternate
di farmaco e di placebo. Accenniamo soltanto alle implicazioni etiche
che sorgono nel prescrivere o somministrare placebo, anche se in
trials clinici, ai pazienti facendo loro credere che si tratta di
un farmaco attivo. Terminiamo ricordando che tempo fa la stampa
si occupò di questo problema e un noto quotidiano pubblicò
un articolo evidentemente enfatizzando l'effetto placebo, e, come
succede spesso alle orecchie non educate, le farmacie si trovarono
a rispondere a numerose richieste di pillole di placebo
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