Rapporto tra medico e paziente: il consenso informato
del Prof.
Giovanni Pellettieri
Il problema della responsabilità professionale del medico, una accresciuta
e più sentita esigenza di tutela del malato, la rinnovata cultura
sociale sul modo di intendere il rapporto medico-paziente, sono
elementi fondanti del diritto al cosiddetto “consenso informato”.
Questo diritto, che ha trovato riconoscimento nella nostra Costituzione,
nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea oltrechè
in numerose leggi [ad. es. art. 33, l. 833/1978] e nel Codice di
Deontologia Medica, rientra, sicuramente e come è stato più volte
ribadito, nel novero dei diritti inviolabili della persona, in quanto
«espressione del diritto all’autodeterminazione in ordine a tutte le
sfere ed ambiti in cui si svolge la personalità dell’uomo, comprendente
anche la consapevole adesione al trattamento sanitario».
Il paziente deve, dunque, poter decidere se
vuole essere curato per una determinata
malattia, ma, perché il consenso sia valido,
deve essere “informato” su tutti gli aspetti e
le conseguenze del trattamento richiesto.
Ne consegue, dunque, che può esprimere il
consenso, solo dopo aver ricevuto dal medico
idonee informazioni e sufficienti elementi
di valutazione in ordine al trattamento
al quale sarà sottoposto ed ai rischi
che ne possano derivare.
Grava, pertanto, sul medico un vero e proprio
obbligo di informazione che si ritiene assolto quando l’informazione
stessa sia dettagliata e verta sulla natura dell’intervento
medico e chirurgico; sulla sua portata ed estensione; sui rischi; sui
risultati conseguibili; sulle possibili conseguenze negative; sulla
possibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso altri interventi
e sui relativi rischi, nonché, da ultimo, sulla concreta situazione
ospedaliera, in rapporto alle dotazioni e alle attrezzature
e al loro regolare funzionamento.
È richiesta un’informazione ancora più precisa e dettagliata in caso
di interventi di chirurgia estetica, in quanto non finalizzati al recupero
della salute in senso stretto.
Pertanto, l’omessa informazione può configurare, giuridicamente,
una negligenza grave, della quale il medico risponderà in concorso
con l’Ospedale sul piano della responsabilità civile, quindi
del risarcimento del danno ed, eventualmente, sul piano professionale,
deontologico e disciplinare.
In caso di mancato ottenimento del consenso nei trattamenti invasivi,
il medico può anche incorrere in sanzioni penali, per i reati
di lesione personale, di violenza privata, ovvero di
soppressione della coscienza e della volontà.
In ogni caso, il consenso informato deve essere, altresì,
attuale, deve cioè riguardare una situazione presente
e non futura. Per questo motivo, la legge non riconosce,
al momento, la validità del c.d. “testamento biologico”,
anche se numerose sono le iniziative, anche parlamentari,
tendenti ad un siffatto riconoscimento.
La forma scritta del consenso è obbligatoria nei casi in cui l’esame
clinico o la terapia medica possano comportare gravi conseguenze
per la salute e l’incolumità della persona. Tuttavia è opportuna
la forma scritta anche in tutti gli altri casi, perché consente al sanitario
di provare, in caso di contestazione, di essere intervenuto
debitamente autorizzato.
Il consenso può essere revocato in ogni momento, sempre che il
paziente sia capace di intendere e di volere, e salvo - in tale ipotesi
- i casi di stato di necessità che ricorrono quando, ad esempio,
l’interruzione repentina del trattamento possa risolversi in un grave
danno per la sua salute.
Nel caso difetti la capacità di prestare il consenso che si ravvisa nella
condizione del paziente di minore età, di interdizione, di sottoposizione
ad amministrazione di sostegno, di incapacità naturale,
in quanto privo in tutto o in parte di autonomia decisionale ovvero
di temporanea incapacità di esprimere la propria volontà, il
consenso deve essere prestato dai soggetti che, per legge, sono
chiamati a sostituirne la volontà [genitori, tutore etc.].
|