Cultura e pensiero
non convenzionale
di Rita Tronconi
Come spesso accade, le parole ancorchè chiarire
e spiegarci idee, in realtà si prestano a libere
interpretazioni e conseguenti fraintendimenti.
È il caso della Cultura. Se vogliamo parlare
dell’insieme delle tradizioni, dei saperi
peculiari e competenze di una certa società,
in senso quindi antropologico, è evidente che
nel termine è sotteso il concetto di pensiero
dominante, prevalente, quindi comune.
Ma nell’accezione più frequente si parla di
cultura pensando ad un avanzamento nelle
conoscenze, individuali e poi collettive, ad
uno sviluppo promosso da una ricerca di
maggiore sapienza. E la sapienza, quando
non sia passiva assimilazione, è esplorazione
di ambiti nuovi, il cui accesso è permesso a
patto di utilizzare vie di pensiero inusuali. La
stessa strada conduce al medesimo punto, lo
stesso strumento produce il solito effetto. Se
si vogliono conoscere possibilità diverse, diverso
da quello solito deve essere l’approccio.
Non solito, cioè non convenzionale. Quindi si
ha “cultura”, ulteriore acquisizione, portando
il pensiero su strade inconsuete.
Dante ne faceva compito di ogni uomo il
perseguire “virtute e conoscenza”, ed è anche
il mestiere dell’intellettuale e dello scienziato
andare a scoprire sentieri nuovi. Ma a quale
scopo? Non è solo la soddisfazione di un
impulso naturale al progresso fine a se stesso,
ma la necessità di migliorare uno stato attuale
che evidentemente non soddisfa.
Viviamo ora un’epoca di conflitto a causa di
evidenti incongruenze: il maggiore sviluppo
economico non ha portato ad una maggiore
felicità, così come, nello specifico, maggiori
innovazioni tecnologiche non hanno
determinato una diminuzione sostanziale
della malattia. Questo dovrebbe farci riflettere
sul fatto che la via potrebbe non essere
quella giusta, e che la cultura dominante non
è scontatamente sinonimo di valore positivo.
Ma se da soli non riusciamo a fare questa
analisi, basta osservare che esiste come un “movimento” di filosofi, medici, psicologi,
studiosi che ci stanno indicando in maniera
molto precisa che perseverare con i principi
attuali non porterà a buoni risultati. Non
possiamo non notare quanto sempre più si
senta parlare di “degenerazione” , di prossima
“distruzione”. Il catastrofismo ci toglie la
speranza e quindi la possibilità dell’azione.
Che è invece, a mio avviso, la possibilità che
ci viene data per la guarigione da questo male,
che, partito dall’uomo, sta contaminando
anche il suo habitat.
E quale azione sarà la ricetta? Le indicazioni
degli intellettuali, delle più diverse estrazioni,
vanno tutte verso un cambiamento, la
sterzata urgente in un’altra direzione: il rispetto
verso la Natura e i nostri simili, il riconoscimento
della valenza di concetti, o
meglio, comportamenti oggi e qui desueti,
come l’attenzione al mondo delle emozioni
e sentimenti, di cui sono in prevalenza custodi
inascoltate le donne.
Lo strumento che può permetterci di virare
può essere solo un pensiero “non convenzionale”,
libero, originale e unico come è ogni
pensiero individuale quando non serva idee
preconfezionate che oltretutto svalorizzano
anche il confronto.
Letture consigliate:
E. Laszlo Il punto del caos
R. Dahlke Malattia linguaggio dell’anima
J. Hillman Il piacere di pensare
A. Carotenuto L’anima delle donne
H. H. Mamani Negli occhi dello sciamano
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