Il federalismo
fiscale
di Antonio Di Majo
E' stata recemtemente approvata la legge delega sul cosiddetto “Federalismo
fiscale”, che dovrebbe entro pochi anni concludere l’iter iniziato
nel 2001 con l’approvazione di modifiche costituzionali che
hanno stabilito una diversa distribuzione dei poteri tra i diversi livelli
di governo della Repubblica verso una struttura “quasi” federale. Essenziale
per il completamento di questo disegno era una diversa definizione
dei poteri di Finanza pubblica di Stato, Regioni, Enti locali.
Circa quarant’anni fa il nostro sistema era stato caratterizzato da una
forte centralizzazione delle entrate pubbliche [tributi] e da una discreta
decentralizzazione delle spese pubbliche. A partire dagli anni
Novanta del secolo scorso era iniziato un processo di graduale decentramento:
furono istituti tributi locali rilevanti [l’ICI e l’Irap principalmente,
le addizionali all’imposta generale sul reddito, i tributi
sui veicoli a motore, e altre minori], mentre era interamente passata
al governo delle Regioni la spesa sanitaria. Con la modifica della
Costituzione sono state individuate altre funzioni di pertinenza locale
[principalmente l’Istruzione] ed è stato stabilito il principio di
una più ampia autonomia tributaria degli enti di livello inferiore di
governo. I principi guida che ispirano la riforma sono quelli di una
maggiore responsabilità di questi Enti, superando il criterio di un finanziamento
centrale, fondato sulla spesa storica, verso una maggiore
prossimità tra i territori dove si decide la spesa pubblica e quelli
di reperimento delle fonti di finanziamento [principalmente i tributi].
L’attuazione di questo principio, attraverso l’individuazione
delle entrate e dei criteri di spesa, è stata delineata nella legge da poco
approvata, ma dovrà essere concretata in decreti delegati da emanare
nei prossimi due anni.
Obiettivi generali dichiarati di questo processo dovrebbero essere miglioramenti
sia dell’efficienza dell’utilizzo delle risorse pubbliche sia
dell’equità della distribuzione dei benefici e degli oneri dell’attività
pubblica. Gli strumenti individuati sono connessi con il tipo di compiti
degli Enti di governo. Per le cosiddette funzioni “fondamentali”
delle Regioni e degli Enti locali si dovrebbe far ricorso a quantificazioni
dei livelli essenziali delle prestazioni da assicurare ai cittadini italiani
indipendentemente dalla loro localizzazione, mentre è lasciata
alle scelte dei singoli Enti l’entità delle funzioni “libere” da svolgere
a favore dei propri cittadini. Per perseguire un uso efficiente delle
risorse e, almeno nelle intenzioni, per contribuire a una limitazione
della crescita della spesa pubblica complessiva e dei fabbisogni di finanziamento
della Finanza pubblica, si pensa di far riferimento a costi
standard e a fabbisogni standard. È opinione diffusa che l’individuazione
di queste grandezze presenta problemi di ardua soluzione.
In un paese molto differenziato [dal punto di vista economico e sociale]
come il nostro non avrebbe molto senso far riferimento a costi
medi, per cui si dovrebbero stimare grandezze standard molto diverse
tra le varie aree del nostro territorio, e le metodologie per ottenere
questo risultato sono incerte e complesse, come è confermato
dai tentativi effettuati, e sostanzialmente non applicati, in altri paesi
di tipo federale o quasi federale. Inoltre, l’esigenza di assicurare comunque
i livelli essenziali rende inevitabile il ricorso a finanziamenti
perequativi in un paese in cui anche la distribuzione delle risorse è
quantitativamente molto differenziata sul territorio.
La soluzione viene ricercata in un mix tra tributi prelevati a livello locale
e distribuzione di risorse prelevate a favore di un pool comune da redistribuire [principalmente le compartecipazioni al gettito di
tributi nazionali]. Il principio generale invocato per il reperimento
delle risorse è quello tradizionalmente conosciuto nella teoria della
Finanza pubblica come del beneficio, applicato a livello di circoscrizione
di governo invece che di singoli individui. In altre parole si
tratterebbe di prelevare i tributi in correlazione con i benefici ricavati
dalle spese pubbliche da finanziare.
Per venire al concreto, le funzioni fondamentali, secondo la legge approvata,
dovrebbero essere finanziate con i tributi locali [l’Irap, l’addizionale
Irpef, altri tributi istituibili, con molte limitazioni, con leggi
regionali, la compartecipazione al gettito IVA] e il Fondo perequativo,
di cui si è accennato, per le Regioni. Con varie compartecipazioni
a tributi statali [IVA e Irpef], tributi immobiliari [Comuni], tributi
connessi con il trasporto su gomma [Province], Fondo perequativo
per Province e Comuni [la cui distribuzione può anche essere
stabilita a livello regionale], per Comuni e Province.
Come si può notare essenziale è il ruolo del Fondo perequativo, da
alimentare con il gettito prelevato sull’intero paese. Questo tipo di
finanziamento, insieme alla compartecipazione a tributi di tipo generale
come l’IVA e l’Irpef, rende fondamentale il ruolo del Governo
centrale. In questo senso, se non si stabiliscono le esatte proporzioni
quantitative dei vari finanziamenti, il nuovo sistema potrebbe rappresentare,
nel caso estremo, una modifica puramente nominalistica
dei rapporti finanziari attuali tra i diversi livelli di governo.
Una accurata descrizione del nuovo disegno finanziario e un approfondimento
dei problemi di attuazione non possono essere qui
svolti, ma si può esprimere l’opinione che la riforma “federalista”
della Repubblica e delle sue Finanze pubbliche potrebbe avere suscitato
attese eccessive di miglioramenti nelle condizioni di vita dei
cittadini.
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