MTM n°23
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 8 - Numero 2 - mag/set 2009
L’angolo - Il legale risponde
 


Prof. Giovanni Pellettieri
Prof. Giovanni Pellettieri
Prof. Ass. Diritto del lavoro. Università di Camerino


Anno 8 - Numero 2
mag/set 2009

 

La tutela di diritti della persona che originano dal rapporto di convivenza omosessuale, richiedono, dunque e in maniera ancora più evidente, una qualche forma di riconoscimento e di tutela. Perché, da un siffatto deficit di tutela, consegue la lesione dei diritti inviolabili della persona




La legislazione italiana in tema di unioni di fatto

del Prof. Giovanni Pellettieri

maniDa tempo oramai si è sviluppato un ampio dibattito sulla possibilità di riconoscere diritti alle unioni di fatto e, nell’ambito di queste, la parità tra coppie eterosessuali ed omosessuali.
Trattandosi di un fenomeno che ha ormai acquistato dimensioni socialmente imponenti, numerosi Paesi si sono già dotati di una legislazione volta a regolamentare le c.d. unioni civili, e cioè tutte quelle forme di convivenza fra due persone, dello stesso o di diverso sesso, legate da vincoli affettivi ed economici, che non accedono volontariamente all’istituto giuridico del matrimonio, o che sono impossibilitate a contrarlo.
In particolare e per quanto attiene ai paesi dell’Unione europea, il quadro relativo alla legislazione sulle convivenze è oggi molto variegato: alcuni Paesi hanno adottato l’unione registrata, chiamata anche partnership o coabitazione registrata, che garantisce specifici diritti e doveri anche alle coppie dello stesso sesso oltre che alle convivenze formate da uomo e donna: è il caso del Pacs ["Patto civile di solidarietà"] approvato in Francia e dei DICO [mai approvati] in Italia. Altri Paesi hanno scelto di regolarizzare le unioni civili con la coabitazione non registrata, con la quale alcuni diritti e doveri sono automaticamente acquisiti dopo uno specifico periodo di coabitazione. Da ultimo, alcuni Paesi europei - ad oggi, Olanda, Belgio e Spagna - oltre ad aver approvato il riconoscimento giuridico delle coppie non coniugate di qualunque sesso, hanno aperto il matrimonio alle coppie dello stesso sesso per realizzare la parità perfetta tra etero e omosessuali.
In Italia, come sopra accennato sono state presentate due proposte di legge, nel 2002 sulle unioni civili e nel 2007 sui c.d. Dico, mai approvate definitivamente, entrambe fondate sul presupposto che il pluralismo della nostra società non consente più di imporre alle famiglie non tradizionali una drastica scelta fra due sole opzioni: il matrimonio da una parte, l’assenza assoluta di qualsiasi riconoscimento giuridico e perfino di tutela in caso di eventi imprevisti dall’altra. A tal fine, sembra utile sinteticamente illustrare i profili giuridici relativi alla ammissibilità, estensione ed ai limiti costituzionali nel nostro ordinamento di una siffatta regolamentazione.
In proposito, il primo comma dell’art. 29 della Costituzione non pone alcun ostacolo a questo riconoscimento, perché, nel sancire che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», non esclude espressamente il riconoscimento di altre forme di convivenza familiare.
Del resto, una norma cardine del nostro ordinamento costituzionale, l’articolo 3 primo comma, affermando il principio dell’uguaglianza formale fra i cittadini, impone che situazioni giuridiche uguali siano trattate in modo uguale. Così, quando situazioni giuridiche proprie alle famiglie tradizionali siano identiche a quelle proprie a famiglie non tradizionali, queste ultime devono essere trattate in modo identico.
E ancora l’art. 29 primo comma, colloca la tutela della famiglia nel quadro del sistema delle autonomie riconosciute alle “formazioni sociali intermedie” e, tra queste, ben possono essere comprese anche le “famiglie di fatto”, come pacificamente riconosciuto da dottrina e giurisprudenza. Quanto alle unioni omosessuali, occorre rilevare che, in termini di stretto diritto, il citato art.29 Cost. non si richiama ad una diversità di genere dei coniugi. Diversamente opinando, cioè che questa norma presupponga, invece, la eterosessualità dei coniugi ed in difetto di una qualsivoglia disciplina sulle unioni di fatto comunque connotate, le coppie omosessuali, disposte a contrarre validamente il vincolo matrimoniale, rimarrebbero [diversamente dalle coppie eterosessuali] prive del riconoscimento dei diritti personali e patrimoniali derivanti dal loro legame affettivo. La tutela di diritti della persona che originano dal rapporto di convivenza omosessuale, richiedono, dunque e in maniera ancora più evidente, una qualche forma di riconoscimento e di tutela. Perché, da un siffatto deficit di tutela, consegue la lesione dei diritti inviolabili della persona, a cui non sarebbe consentito, né il pieno svolgimento della propria personalità, né l’esercizio dei diritti e l’adempimento dei doveri di solidarietà nell’ambito della propria relazione affettiva e del proprio regime di convivenza [art. 2 Cost.]; dandosi luogo, quindi, ad una inammissibile discriminazione fondata sull’orientamento sessuale [art. 3 Cost.].
Giova ricordare, inoltre, che il riconoscimento delle convivenze di fatto, anche omosessuali, è stato al centro di precise sollecitazioni comunitarie: di recente, infatti, la direttiva UE n. 38 del 2004 prevede il diritto all’ingresso e soggiorno nell’ambito comunitario del partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabilmente attestata.
Come richiesto da principi sempre più acquisiti dalla coscienza civile e giuridica europea, sembra, dunque, necessaria una qualche tutela delle forme di convivenza di fatto [eterosessuale ed omosessuale], seppure nei limiti della discrezionalità legislativa e del principio di ragionevolezza. La parità di diritti per i cittadini omosessuali potrà infatti dirsi realizzata solo quando sarà loro consentito di scegliere di regolare la loro vita e i loro rapporti giuridici e patrimoniali, avendo il diritto di scelta fra le stesse alternative di cui fruiscono i cittadini eterosessuali.