MTM n°24
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 8 - Numero 3 - ott/dic 2009
Recensione Musicale
 


Lucio Sessa
Lucio Sessa

Anno 8 - Numero 3
ott/dic 2009

 

Opere musicali che marcano più di una semplice suggestione: la musica degli Ozric, si vive anche con i propri occhi, evocativa di immagini antiche o moderne sempre presenti a scandire il tempo dei pensieri




OZRIC TENTARLE THE YUMUM TREE
Esplorazione, allo stato puro, dei propri pensieri
di Lucio Sessa

È ARDUO RECENSIRE UN SINGOLO LAVORO degli Ozric tentacles, senza coinvolgere di riflesso tutta la sterminata ed affascinante, pulsante discografia.
Anche questo lavoro, rappresenta l’eccellenza della capacità strumentistica applicata alla visione razionalmente distorta di esercizi musicali apparentemente slegati, ma che finiscono per convergere nella medesima direzione, nel medesimo punto, nel medesimo istante cioè l’ennesimo magnifico tassello di una produzione lucida, scintillante, avvolgente.
Introduce “Magick Valley”, riportando a gradini di scale a chiocciola che si rincorrono, come mossi da un tappeto scosso da un lembo: l’elettronica chiosa note sciorinate senza soluzione di continuità, com’è nelle corde degli Ozric Tentacles, ultimo grande baluardo di un “prog” in continua evoluzione, sfociante nel secondo brano “Oddweird”, traccia sincopata, controtempi puntellati da frammenti di chitarre ora lievi, ora più marcati, segmenti che si sovrappongono con il tappeto sonoro di tastiere libere da vincoli, rincorse ancora da chitarre pronte a subentrare e lasciare il passo. Sovrapposizione continua, che rende palpabile lo stupore rinnovato ad ogni episodio caratterizzante la produzione degli Ozric: note che si trasportano libere ma condotte da una mano invisibile che guida all’unisono le fila di ciò che probabilmente potremmo definire lo “spiritus mundi”, applicato alla musica. Sensazioni che si dipanano all’improvviso nel terzo brano:“Mooncalf” si aggroviglia su se stesso in vicoli che si intrecciano, per liberare la propria energia dopo la metà del percorso, lanciandosi in una irresistibile corsa a qualche centimetro da terra. “Oolong Oolong”, quarto episodio, imprime la visione di immagini naturali in lontananza, come il volo mai disattento di uccelli, assolutamente interessato al mutare del vento che puntualmente arriva con folate preparate con grande sapienza, tanto da gettarsi spontaneamente in “riff” di chitarra che inchiodano i bassi al ritmo crescente e coinvolgente di un brano fantastico.
L’apparente quiete di “Oolong”, sfocia nell’estuario naturale di “Yumyum Tree”, brano che cresce piano fino a diventare travolgente, preparandosi ad una cavalcata sospesa tra i ritmi di una futura metropoli compressa tra grattacieli di cemento sostenuti da gigantesche sequoie, appoggiate lungo i fianchi di una civiltà in decadenza ma che non può non ribellarsi all’innaturale scadimento di finestre chiuse che vorrebbero far credere che buio significhi notte, e che lampade in faccia abbiano la valenza del sole.
Percussioni lievi, chitarre incisive e lunghe; bassi che si confondono con tastiere morbide, fino all’incedere del ritmo che coinvolge, aumenta, trascina, per poi placarsi alla fine del brano, mentre tutto rimane lì, da osservare ancora.
“Plant music”, sesto episodio, non ci coglie impreparati: ci si attendeva ciò che puntualmente arriva. Colpi doppiati a ripetizione, come in un amplesso senza fine nè soste, impreziosito da sensazioni la cui tempistica viene scandita da chitarre sempre presenti, il cui suono parte da oriente, e, senza fermarsi, arriva alla meta occidentale.
Basso crescente, incalzante, da dove trae energia un certo tipo di fusion, e poi si lancia in picchiata verso un qualcosa che va ben oltre il r’n’b, il progressive, l’hard rock psichedelico. Ogni definizione, potrebbe essere labile: non si può inquadrare bene un brano di questo livello, ovattatamene martellante, se non ascoltandolo. Soste e ripartenze, introduttive per la settima traccia, “Nakuru”, l’unico momento di “pausa” in un lavoro di grande generosità che si manifesta nell’ottava ed ultima perla, “San Pedro”, volta più al tecnicismo strumentale che non alla godibile e gaudente opera di ascolto. L’ennesimo concretizzarsi di un insieme di visioni oniriche rappresentate dalla musica degli Ozric Tentacles.