OZRIC TENTARLE
THE YUMUM TREE
Esplorazione, allo stato puro, dei propri pensieri
di Lucio Sessa
È ARDUO RECENSIRE UN SINGOLO LAVORO degli Ozric
tentacles, senza coinvolgere di riflesso
tutta la sterminata ed affascinante, pulsante
discografia.
Anche questo lavoro, rappresenta l’eccellenza
della capacità strumentistica applicata
alla visione razionalmente distorta di
esercizi musicali apparentemente slegati,
ma che finiscono per convergere nella medesima
direzione, nel medesimo punto, nel
medesimo istante cioè l’ennesimo magnifico
tassello di una produzione lucida, scintillante,
avvolgente.
Introduce “Magick Valley”, riportando a gradini
di scale a chiocciola che si rincorrono,
come mossi da un tappeto scosso da un
lembo: l’elettronica chiosa note sciorinate
senza soluzione di continuità, com’è nelle
corde degli Ozric Tentacles, ultimo grande
baluardo di un “prog” in continua evoluzione,
sfociante nel secondo brano “Oddweird”,
traccia sincopata, controtempi puntellati da
frammenti di chitarre ora lievi, ora più marcati,
segmenti che si sovrappongono con il
tappeto sonoro di tastiere libere da vincoli,
rincorse ancora da chitarre pronte a subentrare
e lasciare il passo. Sovrapposizione
continua, che rende palpabile lo stupore
rinnovato ad ogni episodio caratterizzante
la produzione degli Ozric: note che si trasportano
libere ma condotte da una mano
invisibile che guida all’unisono le fila di ciò
che probabilmente potremmo definire lo
“spiritus mundi”, applicato alla musica. Sensazioni
che si dipanano all’improvviso nel
terzo brano:“Mooncalf” si aggroviglia su se
stesso in vicoli che si intrecciano, per liberare
la propria energia dopo la metà del percorso,
lanciandosi in una irresistibile corsa
a qualche centimetro da terra. “Oolong Oolong”,
quarto episodio, imprime la visione di
immagini naturali in lontananza, come il
volo mai disattento di uccelli, assolutamente
interessato al mutare del vento che
puntualmente arriva con folate preparate
con grande sapienza, tanto da gettarsi
spontaneamente in “riff” di chitarra che inchiodano
i bassi al ritmo crescente e coinvolgente
di un brano fantastico.
L’apparente quiete di “Oolong”, sfocia nell’estuario
naturale di “Yumyum Tree”, brano
che cresce piano fino a diventare travolgente,
preparandosi ad una cavalcata sospesa
tra i ritmi di una futura metropoli compressa
tra grattacieli di cemento sostenuti da gigantesche
sequoie, appoggiate lungo i fianchi
di una civiltà in decadenza ma che non
può non ribellarsi all’innaturale scadimento
di finestre chiuse che vorrebbero far credere
che buio significhi notte, e che lampade
in faccia abbiano la valenza del sole.
Percussioni lievi, chitarre incisive e lunghe;
bassi che si confondono con tastiere morbide,
fino all’incedere del ritmo che coinvolge,
aumenta, trascina, per poi placarsi alla
fine del brano, mentre tutto rimane lì, da
osservare ancora.
“Plant music”, sesto episodio, non ci coglie
impreparati: ci si attendeva ciò che puntualmente
arriva. Colpi doppiati a ripetizione,
come in un amplesso senza fine nè
soste, impreziosito da sensazioni la cui tempistica
viene scandita da chitarre sempre
presenti, il cui suono parte da oriente, e, senza
fermarsi, arriva alla meta occidentale.
Basso crescente, incalzante, da dove trae
energia un certo tipo di fusion, e poi si lancia
in picchiata verso un qualcosa che va
ben oltre il r’n’b, il progressive, l’hard rock
psichedelico. Ogni definizione, potrebbe essere
labile: non si può inquadrare bene un
brano di questo livello, ovattatamene martellante,
se non ascoltandolo. Soste e ripartenze,
introduttive per la settima traccia,
“Nakuru”, l’unico momento di “pausa” in un
lavoro di grande generosità che si manifesta
nell’ottava ed ultima perla, “San Pedro”, volta
più al tecnicismo strumentale che non alla
godibile e gaudente opera di ascolto. L’ennesimo
concretizzarsi di un insieme di visioni
oniriche rappresentate dalla musica
degli Ozric Tentacles.
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