MTM n°26
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 9 - Numero 2 - set/nov 2010
News - disabilità
 


Monica Caroti
Monica Caroti

Anno 9 - Numero 2
set/nov 2010



È il desiderio dell’altro che consente di uscire dalla propria clausura

 


Se una persona disabile si innamorasse di te?
...i confini troppo ristretti che tracciamo intorno all’amore

di Monica Caroti


Cuore Nella vita può accadere che, per differenti ragioni, si inibiscano emozioni e sentimenti nel tentativo di difendersi da eventi quotidiani vissuti spesso come una minaccia, o perché si ritiene quella certa emozione, o quel sentimento, sconvolgenti per il proprio equilibrio psicofisico.
Il discorso e la realtà stessa della sessualità sono un tema di cui si è a lungo discusso quasi sottovoce, una problematica rimossa anche dagli addetti ai lavori, in ciò autorizzati da una tradizione che ha sempre negato il diritto del disabile ad avere un rapporto affettivo, spesso dimenticando come la pulsione sessuale sia una delle spinte primarie di ogni essere umano.
Queste valutazioni suscitano tuttora nelle persone reazioni destabilizzanti proprio per quella portata di irrisolto che coinvolge ogni cosa riguardante la sfera dei sentimenti. Queste situazioni sono più difficili da gestire da parte di una persona con handicap psichico o fisico. La presenza di una persona, rispetto al suo handicap, porta, nella relazione con gli altri, una molteplicità di timori, imbarazzi e barriere imputabili a una serie di fattori socio-culturali che incidono negativamente sulla costruzione di rapporti personali, tra persone disabili e non, basata su momenti quotidiani vissuti e rappresentati dall’incontro, dall’innamoramento e dall’amore. Infatti, la dipendenza dai familiari ed il loro investimento fatto di affettività e dedizione totale, e la carenza protratta di stimoli esterni, procurano nella persona disabile un evidente isolamento sociale, ed una scarsa autostima, con vissuti negativi riguardo il proprio corpo. Se tali condizionamenti perdurano nel tempo certamente non aiutano le persone con disabilità a sviluppare incontri, sensibilità e relazioni affettive differenti. Così come occorre focalizzare la presenza di numerosi pregiudizi che inducono ancora molte persone a pensare e considerare il portatore di handicap come un “bambino senza sesso”, dentro un corpo che non matura e non diventa adulto in quanto “legato”, nelle varie fasi della vita, alle esigenze primarie.
Si assiste nelle altre persone alla nascita di atteggiamenti ostili e di paura nei confronti del manifestarsi di una sessualità che, uscendo dalla norma, viene vissuta d’istinto e “diversa”, pertanto ingestibile e quindi da “interdire”. In questo caso è il desiderio dell’altro che consente di uscire dalla propria clausura. Tutto ciò va a rafforzare le “difficoltà” ad accettare la propria condizione fisica e il suo coinvolgimento in un eventuale incontro amoroso. O, ancora, la paura sempre presente dei condizionamenti indotti dalla famiglia iperprotettiva che sperimenta vissuti di sofferenza, di infelicità e di minorazione. Si ha l’impressione che i familiari abbiano dei blocchi a vivere momenti felici e a concedersi piacere a vicenda. Queste sono alcune delle barriere emotive e mentali che tutti quanti, abili e non, in qualche misura sperimentiamo nel corso della vita, ma che, dalle persone portatrici di un handicap grave, vengono sentite e vissute attraverso azioni ripetute di isolamento e di rifiuto. Si tratta di ansie ed insicurezze che ampliandosi a vicenda possono radicarsi, e portare, con la messa in atto di meccanismi aggressivi e di difesa, ad una più profonda e generale “paura dell’intimità e della relazione”.
Analoghe esperienze possono essere vissute da coloro che diventano partner di persone con handicap. Basti pensare alle difficoltà di una difficile “presa in carico”, a quella di un legame affettivo di coppia che, con il trascorrere del tempo, può diventare ingestibile. In tali situazioni l’interruzione del rapporto o un’eventuale fuga possono creare senso di colpa e paura di “fare soffrire”. I pregiudizi nei confronti delle possibilità di queste persone di mettersi in gioco, così come la visione spesso distorta e stereotipata della componente relazionale, spinge alcuni a credere che per molti questa esperienza sia poco adatta e quindi scarsamente importante.
Siamo diversi perché disabili, ma “siamo persone, uomini e donne”.