INTERVISTA A
GIAMMARIO GRASSELLINI
IL PUGILE DAL GRANDE CUORE
Giammario Grassellini nasce a Gubbio il 22 maggio del 1977, conosce i primi
successi dilettantistici alla meta' degli anni novanta. Passa al professionismo
nel 2001, vincendo consecutivamente le cinture I.B.F. del Mediterraneo,
Internazionale e Intercontinentale. www.grassellini.it
di Serena Fumaria
OCCHI PROFONDI, occhiali da sole specchiati,
mascella serrata, abbigliamento
sportivo e cappellino in testa, Giammario
Grassellini, incarna sia nel look che nel portamento,
l'immagine del pugile professionista.
Il "Lupo di Gubbio", noto nel panorama sportivo con
questo nome, vanta tra i tanti titoli, la conquista della
cinture I.B.F. del Mediterraneo, Internazionale e del
titolo Intercontinentale.
Parlando con lui, la sua immagine a prima vista dura
e fredda, si modifica in quella di un uomo che ama
fortemente la sua arte, la sua famiglia e la sua città.
Parla ironicamente, ma con il cuore, quello di un
uomo che ama, e che combatte per la sua passione e
per gli oneri e gli onori che essa comporta.
Giammario, perché ti sei avvicinato al pugilato?
Sono sempre stato d'indole vivace,
come del resto mio fratello gemello,
Gianpaolo, così mio padre, probabilmente
sperando di farci stancare
e renderci più "sopportabili" a casa,
ci portò da un ottimo maestro, per
farci fare questa attività. Da quel momento, entrambi
ci siamo dedicati in maniera molto seria a questo
sport. Era divertente, anche mio fratello era molto
forte, ci allenavamo insieme e duramente, ma con il
passare del tempo, lui ha fatto un'altra scelta. Oggi
canta in un gruppo, ma mi segue, in ogni mio match.
Io a differenza sua, ho scelto di continuare "prendere
e dare cazzotti" per vivere. Sto scherzando, chiaramente.
La boxe, anche se sembra uno sport violento, ha un
codice d'onore, una rigidità comportamentale, che
porta a rispettare l'avversario e che non lo rende tale.
Come definiresti la tua arte?
La boxe è senza alcun dubbio una filosofia di vita, che
lo sportivo abbraccia completamente. Forgia ogni
fibra di chi la vive coinvolgendo parenti e amici. È
uno sport molto duro, fatto di sacrifici fisici, di complicazioni
emotive. Lo spettatore
vede semplicemente me, il mio avversario
e un ring sul quale ci sarà
un combattimento, ma vi assicuro
che c'è molto di più. Ogni volta
che sono salito su un ring, da dilettante o da professionista, avevo con me la mia
storia. Nella mia mente avevo il mio allenatore, la mia
grinta e il mio amore per lo sport, avevo la mia famiglia;
mio padre, che mi ha sempre sostenuto; mia madre
Teresa, e i suoi occhi preoccupati per ogni mia possibile
lesione; mia nonna Antonia, che mi guardava tifando
per me; i tre miei fratelli, che soffrivano in silenzio per
ogni mia possibile delusione. Avevo con me le persone
care, gli amici e gli abitanti della mia città, quelli che
mi hanno sostenuto. Io non ho mai combattuto per
me, ma per tutti quelli che mi amano e che credono in
quel che sono.
La tua carriera pugilistica annovera 25 match di cui 19 vinti
in maniera più che onorevole, ma negli ultimi due anni, sei
stato un po' assente. Cosa ti ha portato a questa scelta?
Ho vinto molto, sofferto, pianto e riso a fianco dei
miei sostenitori, ma il sistema nel mondo sportivo è
molto complicato e non sempre le cose vanno come
si vorrebbe. La boxe non è uno sport amato come il
calcio, è meno seguito e quindi è poco sostenuto
economicamente. Nel mio caso, come nel caso di
chi vive lontano dalle grandi città, vivere a Gubbio,
precludeva spostamenti continui, allenamenti con
maestri fuori sede, situazioni di un peso economico
mai coperto dai miei sponsor e ho dovuto fare quindi
la scelta di lavorare per allenarmi. In questo caso le
cose si complicano molto, la lucidità mentale e fisica,
cambia notevolmente. La concentrazione cambia.
Non sto cercando scuse, ho continuato a lottare e a
credere in quel che faccio e sempre lo farò. Continuo
a sognare il Mondiale e tutti i titoli che ho sempre
cercato di raggiungere, ma sono un pò disilluso dal
sistema e da coloro che mi hanno tanto promesso
mentre ero alle stelle, per dimenticarlo
proprio nel momento in
cui avrei avuto la necessità di essere
sostenuto per salire più in alto.
Cosa vedi nel tuo futuro lavorativo?
Sogno il Mondiale e ho progetti in
merito che desidero fortemente realizzare. Desidero
riuscirci, non solo per me, ma per coloro che in me ripongono
fiducia. La mia vita è legata alla boxe, comunque,
sempre. Continuo ad amarla come il primo
giorno. Le sono fedele. Ho il coraggio e la forza per
crederci e trasmetterlo a chi si allena con me e che in
questo sport ritrova se stesso.
Sogno e faccio sognare. Molti non sanno che coloro
che si approcciano a questo sport, sono spesso persone
con una grande rabbia repressa, provocata spesso da
traumi momentanei della vita. Vedo ragazzi giovanissimi,
che allenandosi con me, tirano fuori quella grinta che
non sanno neppure di avere.
Entrano in palestra spaventati da qualcosa che non
capiscono, e poco a poco, sfogandosi con il sacco, o
semplicemente allenandosi e tornando in forma, ritrovano
il loro centro. Parliamo di uno sport esplosivo,
e l'adrenalina che entra in circolo nell'attività, nel momento
del riposo fa allentare la tensione, scioglie la
rabbia. Non allenerei mai chi pensa di utilizzare il mio
sport per far del male a qualcuno. Lo ricordo: la boxe
non è violenza.
Sembra quasi una terapia medica alternativa alla cura dello
stress…
Non so, non sono certo un medico, ma vedo che le
persone che si allenano, sono più serene e sicure di
loro stesse oltre ad essere più performanti e sane. Sicuramente
rinforza animo e corpo.
Qual'è il tuo rapporto con le medicine e i metodi naturali?
Noi sportivi professionisti veniamo visitati e controllati
con cadenza di pochi mesi. Siamo sani per necessità
professionale. Fortunatamente non ho problemi di salute
e sono abituato a sostenere il dolore, per cui evito anche
gli antidolorifici. Mi curo solo dalle
forme influenzali, preferendo i metodi
omeopatici a quelli tradizionali.
Ma se devo dirla tutta, non c'è niente
che mi curi quanto l'affetto delle
persone che amo.
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