Ridere per vivere
Intervista al Presidente della Associazione Ridere per Vivere, Leonardo
Spina
di Emanuela Porchedda
Leonardo
Spina (dott. Spinotto) gelotologo, presidente dell’Associazione
Ridere per Vivere. Laurea in scienze politiche, studioso della Commedia
dell’Arte,
clown di strada, attore nella Compagnia di Dario Fo e Franca Rame,
sceneggiatore cinematografico della bottega di Ettore Scola,
esperto di comicoterapia.
Come contattare l’associazione
Ridere per Vivere:
06.50918236 - ridevive@libero.it
- www.riderepervivere.it
Che cos’è l’effetto
placebo? Come si può guarire credendo di essere curati? Dove si
compie il misterioso salto tra la mente ed il corpo? Oggi la Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia
sta scoprendo dove si nasconde il “guaritore” interno …anche
in una bella risata.
Cos’è la gelotologia?
La definiamo come ricerca, studio ed applicazione della risata (e delle
emozioni positive) in funzione terapeutica.
In cosa consiste il valore terapeutico
di una risata?
Il ridere attiva e regola tutte le funzioni, dalla respirazione, alla
digestione, alla muscolatura, alla circolazione. A livello psicologico
si abbatte la paura, si è più lucidi, disposti ad accettare
le sfide della vita. A livello relazionale, si socializza, si sdrammatizza.
In più la risposta immunitaria si attiva potentemente grazie ad
alcune categorie di neurotrasmettittori, tra cui le ormai arcifamose beta
endorfine.
Quando nasce l’associazione
«Ridere per Vivere» e con quali finalità?
Nasce alla fine del ’95 allo scopo di divulgare ed applicare in
Italia la comicoterapia.
Qual è il vostro rapporto
con il mondo dei disabili, o meglio dei «diversabili»?
Ottimo. Da quasi tre anni seguiamo due gruppi di diversabili mentali e
motori, presso una Utr della Asl Roma c, un progetto in collaborazione
con la provincia di Roma.
In cosa consiste il progetto da
voi praticato«Comicoterapia con l’h»?
Risvegliare la scintilla vitale nelle persone in difficoltà mediante
un clima gioioso, risate, giochi, umorismo verbale, uso di tecniche diverse.
Come accoglie la gente la presenza
di clown nei reparti ospedalieri?
Con il sorriso, la gioia, a volte il sollievo (per esempio tra il personale).
È raro che qualcuno rifiuti la visita del clown di corsia, persino
nelle situazioni più difficili. C’è fame di emozioni
positive, di contatto umano…di amore.
Può raccontarci una esperienza
significativa degli effetti terapeutici che musica e sorriso possono avere
su un vostro interlocutore?
A Napoli, cardiochirurgia, un bimbo in coma farmaceutico si è ripreso
con un’armonica e delle bolle di sapone.
A Roma, nell’Utr ad un ragazzo è stata «derubbricata»
la diagnosi: era dato per autistico, ma con noi interagiva.
In che misura arte e medicina possono
incontrarsi e collaborare alla guarigione di un paziente?
Arte e scienza sono fatalmente destinate a collaborare. Lo scienziato
deve abbandonare la via della «freddezza e del distacco»,
della considerazione che le emozioni sono variabili di disturbo. La medicina
comunque la si voglia collocare è molto più arte che non
scienza: non si può salvare un paziente che non collabora, pur
avendo compreso il suo male ed avergli fornito il farmaco efficace.
Vuole aggiungere qualcosa?
Sì: due aforismi, uno per i troppo seri: «Beati quelli che
hanno imparato a ridere di sé stessi, perché non finiranno
mai di divertirsi!»; l’altro per i medici: «La medicina
non fa ridere, ma c’è molta medicina nella risata».
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