MTM n°6
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 2 - Numero 5/6 - set/dic 2003

Speciale inquinamento globale - I.S.S. Tossicologia
 


Angelo Carere e Romano Zito Angelo Carere
e Romano Zito

Angelo Carere
University of Rome
Professor of Genetics,
University of Rome
Director of the Laboratory “Comparative Toxicology
and Ecotoxicology” [Istituto Superiore di Sanità, Rome], 1988-present.
President of the European Environmental
Mutagen Society

 


Foto di Emiliano MonacoLe patatine fritte,
non sono ancora assolte

di Angelo Carere e Romano Zito

Istituto Superiore della Sanità/Laboratorio di Tossicologia comparata ed ecotossicologia


Non eccedete, il rischio cancerogeno, anche se debole, non è escluso.
La raccomandazione vale soprattutto per bambini e adolescenti

Oltre al rischio cancerogeno, l’acrilamide è ritenuta capace di indurre danni genetici trasmissibili: mutazioni di tipo genetico e cromosomico

La corretta informazione scientifica è stata sempre difficile da realizzare, soprattutto nel campo sanitario. La vicenda dell’acrilamide nelle patatine fritte ha dimostrato una volta di più le aporie dei media in questo campo. I primi articoli sulla sua presenza in vari alimenti hanno trasmesso al pubblico un allarme esagerato di rischio cancerogeno, insieme ad inesattezze di vario genere, come insistere sul ruolo dell’olio di frittura. Gli articoli [6.12.2002] erano fuorvianti per il consumatore perché sembravano indicare come responsabile della formazione di acrilamide nelle patatine la bassa qualità dell’olio di frittura. Invece, l’acrilamide si forma nelle patate esclusivamente in dipendenza della temperatura: anche al forno e persino in acqua ad alta temperatura [pentola a pressione]. La sua formazione inizia a 120°-125 °C ed è massima a 180°. Inoltre, grazie alle recenti scoperte di ricercatori inglesi e svizzeri [Nature, 419, 449, 2002], il meccanismo di formazione dell’acrilamide non è più un mistero. I due gruppi di ricercatori hanno dimostrato che l’acrilamide si può formare durante il trattamento termico a partire da matrici alimentari ricche di amido [soprattutto patate e in misura minore cereali], come risultato di reazioni tra amminoacidi, in particolare l’asparagina e prodotti [n-glicosidi] della reazione Maillard, responsabile del colore e dell’odore tipici dell’abbrustolimento. Nelle patate usate commercialmente, l’asparagina è l’amminoacido prevalente [circa il 40% del totale di amminoacidi liberi] mentre nella farina di grano corrisponde al 14%.
Va inoltre ricordato che l’allarme “acrilamide nelle patatine fritte” è merito europeo. Nell’aprile del 2002 l’Agenzia Alimentare Nazionale Svedese annunciò, sulla base dei risultati di ricercatori svedesi, guidati da Margareta Tornquist, che l’acrilamide si formava in prodotti di largo consumo [soprattutto patatine fritte] quando venivano preparate sopra i 120 °c.
Immediate ricerche condotte in diversi paesi europei [purtroppo non in Italia!] e negli Usa sull’esposizione ad acrilamide di consumatori di questi alimenti hanno indicato che questa è elevata, molto al di sopra del livello raccomandato dalla Oms per l’acqua da bere [0,5 ug/l], soprattutto nei paesi nordici e che il gruppo più a rischio è costituito da bambini ed adolescenti. In questi, infatti, l’esposizione, espressa per kg di peso corporeo, è 2-3 volte superiore rispetto a quella degli adulti.
Sono diversi anni che l’acrilamide, che ha molti impieghi industriali, viene considerata cancerogena e genotossica [cioè senza soglia] sulla base del meccanismo di azione [reazione con il Dna] per i tumori indotti in ratti e topi. Su tale base, le varie Agenzie Internazionali [es.: la Iarc e l’Usepa], come anche la Unione Europea, hanno ritenuto sufficiente l’evidenza di cancerogenesi sperimentale dell’acrilamide, ritenuta qindi, probabile cancerogeno per l’uomo. Oltre al rischio cancerogeno, l’acrilamide è ritenuta potenzialmente capace di indurre danni genetici trasmissibili, essendo risultata capace di indurre mutazioni di tipo genico e cromosomico, trasmissibili a livello germinale in roditori.
Di recente sono stati pubblicati due studi epidemiologici nei quali si è stimato, retrospettivamente, il consumo di alimenti contenenti acrilamide in gruppi di pazienti affetti da diversi tipi di tumore, confrontati con campioni sani [tratti dalla popolazione generale] ovvero con pazienti non oncologici che afferivano agli stessi ospedali dei casi delle patologie in oggetto. Il primo lavoro [La Mucci et al., British J. Of Cancer, 88, 84-89, 2003], svolto in Svezia, riguarda tre tipi di tumore: intestino largo, rene e vescica. Lo studio, che presenta grossi limiti, non ha rivelato alcuna associazione tra incidenza di questi tipi di tumore e l’esposizione ad acrilamide attraverso la dieta. I risultati di questo studio sono da considerare inconclusivi.
Nell’articolo del Messaggero,[27 maggio 2003] sono stati riportati i risultati di un secondo studio epidemiologico [Pelucci et al., Int. J. Cancer, 105, 558-560, 2003]. Nel secondo contributo, basato su una serie di studi condotti in Italia e Svizzera tra il 1991 ed il 2000 tenendo conto delle risposte ad un questionario, è stata analizzata la possibile associazione tra assunzione di patatine e rischio di cancro in diversi siti [cavità orale e faringe: 749 casi e 1772 controli], intestino largo [1225 casi per il colon e 728 casi per il retto, contro 4154 controlli], seno [2569 casi e 2588 controlli] ed ovaio [1031 casi e 2411 controlli]. Secondo gli Autori i risultati di questa analisi «forniscono una rassicurante evidenza di mancanza di una importante associazione tra consumo di patate fritte/al forno e rischio di cancro». Nello stesso articolo del Messaggero i risultati di questi studi sono stati riportati come prova di non cancerogenicità delle patatine fritte. Dall’articolo i media hanno tratto la conclusione che l’acrilamide alimentare non è cancerogena e non vi sono quindi precauzioni da adottare. Questa conclusione è errata: in realtà, si può solo concludere che il rischio cancerogeno dell’acrilamide alimentare è relativamente basso e difficile, se non impossibile, da evidenziare con studi di epidemiologia dei tumori nella popolazione generale, data la loro ben nota scarsa sensibilità. Negli studi di epidemiologia dei tumori, generalmente, il rischio cancerogeno associato ad un dato agente viene evidenziato studiando gruppi di soggetti altamente esposti, come ad esempio negli ambienti di lavoro. Da qui, con opportuni modelli, si formulano le stime di rischio per la popolazione generale [costituita da molte persone esposte prevedibilmente a basse dosi]. Per l’esposizione alimentare ad acrilamide si tratta comunque di milioni o decine di milioni di persone, per cui anche un modestissimo aumento della incidenza di alcuni tipi di tumori, che sfugge alle indagini epidemiologiche, può produrre decine o centinaia di casi di tumore. L’articolo è fuorviante per il pubblico perché presenta il risultato negativo della indagine epidemiologica come un dato assoluto di non cancerogenicità, ignorando tutte le altre evidenze, molto robuste in realtà, accumulate da decenni e che hanno portato alle classificazioni internazionali dell’acrilamide quale probabile cancerogeno. Ciò ingenera sfiducia nella comunicazione scientifica, che sembra passare da un estremo all’altro, disorientando il pubblico e inducendolo a trascurare qualsiasi precauzione nel consumo di alimenti contenenti acrilamide come le patatine fritte.
Attualmente, data la riconosciuta rilevanza sanitaria del problema da parte della Fao/Oms e della Ue , stanno per iniziare o sono già iniziati in Europa e nel resto del mondo, numerosi progetti di ricerca sull’acrilamide ed è probabile che nell’arco di due o tre anni i risultati di tali ricerche permetteranno stime quantitative del rischio cancerogeno e di quello genetico molto più precise di quelle ora possibili. Più che dagli studi epidemiologici c’è da aspettarsi che indagini sperimentali possano fornire risultati decisivi. Nel frattempo, i consigli da dare ai consumatori, senza comunque voler creare eccessivi allarmismi, sono i seguenti:
limitare di mangiare patatine fritte [che è un consiglio comunque valido anche per l’elevato contenuto di sale e olio], soprattutto nel caso di bambini e donne incinte.
friggere le patatine ed i cibi ricchi di amido e glucosio a temperature inferiori a 150°C, evitando di far assumere la colorazione marrone-nerastra tipica dell’abbrustolimento. Nessun problema invece per le patate bollite a 100°C, che infatti non presentano tracce di acrilamide.
Nel fratempo l’industria alimentare dovrebbe impegnarsi a trovare condizioni che riducano la formazione di acrilamide in alimenti come patatine fritte e cereali; esistono al riguardo oltre cento tipi di cultivar diversi di patate, alcuni dei quali possono avere contenuti di asparagina relativamente bassi. Agendo quindi sulla matrice di partenza e sulla temperatura, si dovrebbe facilmente arrivare a poter ridurre significativamente la formazione di acrilamide.

Istituto Superiore di Sanità:
Viale Regina Elena, 299-00161 Roma Tel.06.49.901

Siti di riferimento E.D.C.
http://www.endodisru.iss.it
http://www.iss.it/sitp/dist/


Endocrinologia

Alberto Mantovani
Alberto Mantovani

I distruttori endocrini
di Alberto Mantovani

L’esposizione a sostanze chimiche nell’ambiente di vita e di lavoro e negli alimenti ha un posto di rilievo fra i fattori di rischio per la salute riproduttiva. In particolare, la Commissione Europea e altri organismi internazionali [Oecd, Who] indicano come priorità l'incremento delle conoscenze sugli Endocrine Disrupting Chemicals [Edc, “distruttori” o “interferenti” endocrini]. Gli Edc sono un eterogeneo gruppo di sostanze caratterizzate dal potenziale di interferire attraverso svariati meccanismi [recettore-mediati, metabolici, ecc.], con il funzionamento del sistema endocrino, soprattutto con l'omeostasi degli steroidi sessuali e della tiroide. I più noti Edc comprendono contaminanti alogenati persistenti [diossine, policlorobifenili], fitofarmaci e biocidi [ad esempio, etilene-bisditiocarbammati, clororganici], sostanze di uso industriale [composti fenolici, ftalati]. Gli studi avviati nel corso del Programma pilota di ricerca dell’Iss [finanziato dal Ministero della Salute ] hanno consentito di mettere a fuoco l’ampio spettro di patologie correlabili con l’esposizione a Edc. Queste comprendono l’incremento di abortività precoce associato all’esposizione lavorativa a pesticidi, effetti a lungo termine sulla funzionalità tiroidea o riproduttiva in seguito a danni indotti in utero o durante l’infanzia, patologie metaboliche [ad es. osteoporosi postmenopausale] correlabili con un’alterata omeostasi di estrogeni e androgeni, ecc. Numerosi punti restano da chiarire: tra tutti, l’intero spettro di patologie potenzialmente associabili all’esposizione a Edc.