Il
Pantheon o la rotonda?
di Paola Papisca
I proverbi, i modi di dire,
sono sicuramente la maniera più incisiva e caratteristica
di esprimersi soprattutto fra la gente comune. Il loro utilizzo,
particolarmente significativo nel linguaggio popolare, è
purtroppo oggi un po’ decaduto come è il dialogare
in dialetto.
«Dimme il Pantheon, no la rotonda!» è così
che, ancora oggi a Roma si rischia di essere apostrofati se manchiamo
di chiarezza per celare una verità. Pantheon è infatti
il vero nome della Rotonda.
Questo capolavoro dell’architettura romana è uno dei
monumenti meglio conservati del mondo. Fu fatto costruire da Marco
Vispanio Agrippa, genero di Augusto, nel 27 a.c. e, come si deduce
dall’etimologia del termine [Pan=tutto, Teon=divinità]
era un tempio dedicato “a tutte le divinità”.
Distrutto dall’incendio dell’80 d.c., fu ricostruito
nel 130 da Adriano che volle conservare sull’architrave della
facciata, il nome di quel generale di Augusto cui si deve la precedente
costruzione. Il tempio divenne cristiano nel 609 e dedicato ai martiri.
Bernini vi costruì due piccoli campanili che i romani chiamarono
“orecchie d’asino”, non piacquero nel 1883 furono
demoliti.
L’ingresso alla “Rotonda” è realizzato
con un pronao di 16 colonne alte 12 metri e mezzo. Il Pantheon è
un enorme cilindro, con dei muri di 6,20 metri di spessore, che
regge la più grande calotta in muratura mai costruita: 43,20
metri di diametro e altrettanto di altezza. Conserva ancora la sua
antica pavimentazione di marmo ma, quando fu adibito a culto cristiano,
le nicchie laterali furono trasformate in altari. Sembra che l’unica
spogliazione di rilievo sia dovuta ad Urbano Viii Barberini che,
nel restaurare il pronao, ne asportò la travatura originale
in bronzo per farne il baldacchino di San Pietro e ottanta cannoni
per Castel Sant’Angelo «Quer che nun fecero li barberi,
lo fecero i Barberini» si diceva a Roma.
La piazza antistante il Pantheon detta della Rotonda presenta una
fontana centrale che oltre da un obelisco egiziano è ornata
da alcune targhe in marmo che ricordano svariati avvenimenti. Una
di questa iscrizioni richiama alla memoria un vecchio e quasi del
tutto dimenticato vecchio detto romano: «Er norcino finisce
alla rotonda». Si narra che nel 1638 alcuni norcini vennero
sorpresi mentre aggiungevano carne di uomini, da loro stessi assassinati,
a quella di maiale predisposta per gli insaccati. L’indignazione
provocata da tale scoperta indusse Urbano VIII a chiedere ai giudici
una sentenza durissima: i colpevoli furono condannati ad essere
« mazzolati, sgozzati e squartati» [come maiali].
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