La sessualita’ della
persona disabile (vai
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di Pino Petrachi
Psicologo Clinico-Psicoanalista
Presidente e Responsabile dell’area psicologica dell’A.s.dl.
[Centro di Assistenza alla persona e alla Famiglia]
Svolge attività privata di psicoterapia individuale e di gruppo.
Direttore e Docente della Scuola di Counseling dell’ A.s.dl.
Nonostante si sia parlato
molto in questi ultimi anni sia di sessualità che di handicap,
raramente i due termini sono stati associati ad uno stesso individuo.
Il portatore di handicap, infatti, è tutt’ora identificato
con il suo deficit, negando così all’individuo la complessità
dei suoi sentimenti, della sua originalità, dei suoi bisogni.
Soprattutto i bisogni sessuali del portatore di handicap sono semplicemente
‘dimenticati’ dalle persone normodotate.
Il piacere che viene dal corpo - essere toccato, pulito, nutrito
- fa parte di quei piaceri primari che costituiscono l’essenza
di sentirsi vivi, dell’esserci, pilastri del senso della propria
identità separata ed ugualmente in comunicazione con l’altro.
È un intreccio inscindibile, ciò che attraverso il
corpo promuove il senso di sé, la sensazione di esistere
come soggetto sempre più definito. Le complesse problematiche
che caratterizzano la sessualità delle persone handicappate
mettono in evidenza alcune drammatiche contraddizioni del nostro
atteggiamento educativo. La prima contraddizione riguarda proprio
le sue finalità. Uno dei presupposti teorici e metodologici
irrinunciabili ai programmi educativi per l’handicap si fonda
sul concetto di massima autonomia possibile. Tale concetto, che
riconosce la necessità di restituire al disabile i più
ampi spazi possibili di autodeterminazione, è tuttavia applicato
con estrema difficoltà all’ambito sessuologico. Quando,
infatti, all’interno di un progetto educativo diventa necessario
affrontare il tema della sessualità, si tende solitamente
a sostituire il principio della massima autonomia possibile con
quello della minima autonomia indispensabile. Probabilmente concedere
una maggiore autonomia sessuale alle persone disabili spaventa più
noi di quanto sia un problema per loro. La seconda contraddizione
sul piano metodologico riguarda la tendenza a privilegiare interventi
a carattere repressivo, finalizzati al contenimento delle spinte
sessuali, rispetto ad interventi più propriamente educativi.
Negli ambienti in cui la sessualità è completamente
negata, lì è molto probabile che la persona handicappata
non possa figurarsi uno stimolo sessuale eteroindotto, e probabilmente
ogni forma di sessualità è convogliata nella sublimazione.
Il recupero della dimensione affettiva e sessuale ha, in molti casi,
consentito di ottenere risultati impensabili anche all’interno
di curricola per i quali erano stati spesi anni di paziente ed improduttivo
lavoro. Per prevedere in quale modo riescano a gestire una maggiore
autonomia sessuale è indispensabile comprendere quale idea
di sessualità stiano usando, quali significati abbia per
loro il “fare l’amore”, di quali comportamenti
o aspettative sia fatta la loro vita sessuale, quali gesti, quali
immagini, quali sensazioni sono contenuti, o potrebbero essere contenuti
nella loro idea di sessualità. Per educare alla sessualità
di persone portatrici di handicap è necessario fare riferimento
ad una teoria della sessualità nella quale possano essere
immaginati spazi di vita, di espressione, di intervento adatti ai
disabili. Ogni vero piano di educazione dovrebbe, inoltre, considerare
la persona handicappata realmente inserita nella società.
Il portatore di handicap deve essere quindi aiutato e stimolato
nella conquista delle proprie potenzialità nel campo affettivo,
sessuale, interpersonale, sociale e creativo per facilitare l’accettazione
della propria diversità: ciascuno deve lottare per farsi
riconoscere nella propria diversità e rinunciare al pensiero
magico di poter modificare ciò che modificabile non è,
accettare il proprio corpo con le sue limitazioni, con le sue incongruenze,
con le sue facili deperibilità, con la sua morte.
[la versione integrale dell’articolo è visionabile
all’URL www.medicalteammagazine.com ]
Un ringraziamento alla Dottoressa
Rosaria Furnari per l’aiuto dato nella stesura dell’articolo. |