MTM n°7
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 3 - Numero 1/2 - gen/apr 2004
Speciale Diversamente abili - Amor...abili
 


Anno 3 - Numero 1/2
gen/apr 2004


Amarsi un po’,
per diventare uniti e indivisibili

Pulsioni sessuali, abusi, identità, ricerca e crescita nel difficile percorso sessuale di un diversamente abile.

La cultura e le arti stentano ancora a rappresentare la nuova frontiera dell’amore. Gli antichi freaks sono sempre più belli anche in campo amoroso. Dovremo allora cominciare a rivedere le nostre poesie d’amore e i testi musicali. Potremo così riascoltare Amarsi un po’come una poesia d’amore tra diversamente abili: «Amarsi un po’, più facile è respirare, basta guardarsi e poi, avvicinarsi un po’, e non lasciarsi mai, impaurire no, no. Amarsi un po’, è un po’fiorire, aiuta sai, a non morire, senza nascondersi, manifestandosi, si può eludere, la solitudine. […] ma quanti ostacoli, e sofferenze e poi, sconforti e lacrime, per diventare noi, veramente noi, uniti, indivisibili, vicini, ma irraggiungibili».

Anna Contardi
Anna Contardi

Imparare ad amare
A colloquio con Anna Contardi
Coordinatrice nazionale dell’A.i.p.d. [Associazione Italiana Persone Down]

La persona con Sindrome di Down può avere rapporti sessuali?
Senz’altro. Fino a poco tempo fa, riferendosi a persone con Sindrome di Down, si pensava ai temi dell’amore e della sessualità o come frutto di violenza oppure in termini di sessualità non intenzionale, non legata quindi ad aspetti affettivi o di relazione. Soltanto negli ultimi anni si comincia a pensare e a parlare di sessualità vera e propria anche per persone con questa sindrome. Una persona con Sindrome di Down, pur presentando gradi variabili di disabilità, è una persona che in generale ha voglia di innamorarsi e può agire in una relazione come una persona normale.
Esistono delle difficoltà specifiche?
Si, soprattutto di tipo educativo, relazionale e sociale. Significativo è senz’altro il fatto che nei maschi con Sindrome di Down la capacità riproduttiva, nella quasi totalità dei casi, è nulla. Si tratta di una problematica relativamente recente considerando che fino alla fine degli anni ’40 l’aspettativa di vita per persona affetta da Sindrome di Down era di 12 anni, oggi mediamente si calcola in 62 anni.
Esistono però già coppie di persone con Sindrome di Down che vivono da sole…
È vero, ma con forme di supporto e di tutela.
Le regole di corteggiamento tra persone con Sindrome di Down possono apparire esagerate o imbarazzanti per un normodotato?
Il problema di un adolescente con Sindrome di Down risiede nel fatto che, presentando un disturbo intellettivo, ha una minore capacità di autocontrollo, alcuni comportamenti quindi possono apparire particolarmente disinibiti. In questo senso andranno aiutati a educare i loro gesti in funzione delle circostanze e dei contesti, e quindi a crescere e diventare adulti. Le modalità di approccio infantilizzanti, comportano ripercussioni sul tessuto delle interazioni quotidiane dell’adolescente con i suoi coetanei. Non si potrà avere una sessualità adulta in una percezione di sé bambino. L’educazione all’affettività e alla sessualità vanno considerate all’interno di un percorso di crescita verso l’autonomia e nella consapevolezza di una identità adulta, sia pure di uomini e donne “semplici”.
Quale tipo di società sarebbe la più adatta ad accogliere il mondo sessuale delle persone con Sindrome di Down?
Occorrerebbe una società che sappia entrare in rapporto con le persone di là del loro handicap. La relazione con un disabile nasce solo entrando in contatto con la persona vera che si ha davanti, e non relazionandosi con una immagine finta, con una sterotipia di che cos’è la disabilità.
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Pino Petrachi
Pino Petrachi

La sessualita’ della persona disabile (vai al'articolo integrale)
di Pino Petrachi
Psicologo Clinico-Psicoanalista
Presidente e Responsabile dell’area psicologica dell’A.s.dl.
[Centro di Assistenza alla persona e alla Famiglia]
Svolge attività privata di psicoterapia individuale e di gruppo.
Direttore e Docente della Scuola di Counseling dell’ A.s.dl.

Nonostante si sia parlato molto in questi ultimi anni sia di sessualità che di handicap, raramente i due termini sono stati associati ad uno stesso individuo. Il portatore di handicap, infatti, è tutt’ora identificato con il suo deficit, negando così all’individuo la complessità dei suoi sentimenti, della sua originalità, dei suoi bisogni. Soprattutto i bisogni sessuali del portatore di handicap sono semplicemente ‘dimenticati’ dalle persone normodotate.
Il piacere che viene dal corpo - essere toccato, pulito, nutrito - fa parte di quei piaceri primari che costituiscono l’essenza di sentirsi vivi, dell’esserci, pilastri del senso della propria identità separata ed ugualmente in comunicazione con l’altro. È un intreccio inscindibile, ciò che attraverso il corpo promuove il senso di sé, la sensazione di esistere come soggetto sempre più definito. Le complesse problematiche che caratterizzano la sessualità delle persone handicappate mettono in evidenza alcune drammatiche contraddizioni del nostro atteggiamento educativo. La prima contraddizione riguarda proprio le sue finalità. Uno dei presupposti teorici e metodologici irrinunciabili ai programmi educativi per l’handicap si fonda sul concetto di massima autonomia possibile. Tale concetto, che riconosce la necessità di restituire al disabile i più ampi spazi possibili di autodeterminazione, è tuttavia applicato con estrema difficoltà all’ambito sessuologico. Quando, infatti, all’interno di un progetto educativo diventa necessario affrontare il tema della sessualità, si tende solitamente a sostituire il principio della massima autonomia possibile con quello della minima autonomia indispensabile. Probabilmente concedere una maggiore autonomia sessuale alle persone disabili spaventa più noi di quanto sia un problema per loro. La seconda contraddizione sul piano metodologico riguarda la tendenza a privilegiare interventi a carattere repressivo, finalizzati al contenimento delle spinte sessuali, rispetto ad interventi più propriamente educativi. Negli ambienti in cui la sessualità è completamente negata, lì è molto probabile che la persona handicappata non possa figurarsi uno stimolo sessuale eteroindotto, e probabilmente ogni forma di sessualità è convogliata nella sublimazione. Il recupero della dimensione affettiva e sessuale ha, in molti casi, consentito di ottenere risultati impensabili anche all’interno di curricola per i quali erano stati spesi anni di paziente ed improduttivo lavoro. Per prevedere in quale modo riescano a gestire una maggiore autonomia sessuale è indispensabile comprendere quale idea di sessualità stiano usando, quali significati abbia per loro il “fare l’amore”, di quali comportamenti o aspettative sia fatta la loro vita sessuale, quali gesti, quali immagini, quali sensazioni sono contenuti, o potrebbero essere contenuti nella loro idea di sessualità. Per educare alla sessualità di persone portatrici di handicap è necessario fare riferimento ad una teoria della sessualità nella quale possano essere immaginati spazi di vita, di espressione, di intervento adatti ai disabili. Ogni vero piano di educazione dovrebbe, inoltre, considerare la persona handicappata realmente inserita nella società. Il portatore di handicap deve essere quindi aiutato e stimolato nella conquista delle proprie potenzialità nel campo affettivo, sessuale, interpersonale, sociale e creativo per facilitare l’accettazione della propria diversità: ciascuno deve lottare per farsi riconoscere nella propria diversità e rinunciare al pensiero magico di poter modificare ciò che modificabile non è, accettare il proprio corpo con le sue limitazioni, con le sue incongruenze, con le sue facili deperibilità, con la sua morte.
[la versione integrale dell’articolo è visionabile all’URL www.medicalteammagazine.com ]

Un ringraziamento alla Dottoressa Rosaria Furnari per l’aiuto dato nella stesura dell’articolo.

Tiziana Biolghini
Tiziana Biolghini

Un corpo tutto mio
di Tiziana Biolghini

Il problema della sessualità nei diversamente abili rappresenta senz’altro un tema di grande attualità. Nei miei ripetuti incontri, con le rappresentanze delle associazioni dei familiari di disabili, sono spesso sorti quesiti sul modo migliore di affacciarsi a questo delicato sipario della vita dei figli, senza comprometterne lo sviluppo. La risposta non è senz’altro semplice, ed è in primo luogo affidata ai professionisti del settore. Di certo, si tratta di anni in cui stiamo finalmente liberando i disabili dagli arresti domiciliari dove per anni la nostra società li aveva costretti, e questo grazie anche e soprattutto ad una serrata politica di pari opportunità. Oggi i diversamente abili, per mezzo di sostegni culturali e terapeutici, si stanno finalmente riappropriando del loro corpo. Riuscire a sentire il proprio corpo, non come estraneo, ma come un tutt’uno con la propria identità, è senz’altro fondamentale per la crescita sessuale corretta di ogni individuo.
Le famiglie oggi chiedono un forte sostegno, affinché siano aiutate ad affrontare il delicato momento di passaggio da una fase storica ad un’altra, da quella cioè di reclusione paurosa dei disabili, a quella di inserimento nel nuovo tessuto sociale democratico. I timori sono tanti e accresciuti dalla cronaca ufficiale che ci rende note storie di abusi, stupri e violenze inaccettabili.
Occorre, così, avviare una forte campagna di educazione sessuale che aiuti le famiglie ed i disabili stessi a vivere con maggiore serenità le fasi della crescita sessuale. Si dovrà lavorare molto anche sull’affettività, come strumento in grado di permettere alle famiglie di condividere il difficile percorso del figlio. Come Provincia di Roma avvierò corsi di rieducazione sessuale che prevedranno tre livelli di attività: per operatori, per famiglie e per diversamente abili. Tutti soggetti attivi nella realizzazione del più ampio progetto di aggregazione sociale e abbattimento di ogni pseudocultura ignorante e discriminante.