Intervista
a Massimo Mangialavori
di Cristiana Nardini
Massimo
Mangialavori è riconosciuto come uno dei migliori omeopati
del mondo. Dopo una discreta esperienza di clinica universitaria,
decide di intraprendere un viaggio in Sudamerica con l’intenzione
di approfondire lo studio dell’antropologia medica. L’esperienza
si manifesta “rivelatoria” rispetto alla decisione di
diventare omeopata. Mangialavori ha fondato la Scuola Internazionale
di Medicina Omeopatica Cimi-Koinè che dirige insieme al dr.
Giovanni Marotta, e ogni anno a Capri conduce un seminario internazionale
a cui partecipano centinaia di omeopati provenienti da ogni parte
del mondo. Lo abbiamo incontrato a Roma durante l’affollatissimo
seminario sul primo ed unico libro pubblicato in italiano sulla
metodologia omeopatica, scritto in collaborazione con Giovanni Marotta.
Perché oggi sempre più persone scelgono di curarsi
con la medicina omeopatica?
Una larghissima fascia della popolazione fa uso di farmaci preparati
omeopaticamente ma questo non vuol dire che si rivolgano a dei veri
medici omeopatici. È vero che molti più pazienti di
prima si stanno riferendo alle Medicine Non Convenzionali in genere,
e tra queste l’Omeopatia è una delle più richieste,
ma la mia impressione è che sia una moda del momento, e dietro
questi pazienti gli omeopati veri sono un migliaio a fronte di molti
altri che prescrivono rimedi omeopatici.
Anche nell’omeopatia è entrata un pò
di New Age?
Certo, c’è la New Age in tutte quelle che sono le medicine
non convenzionali, per questo non sono contento di come vanno le
cose. Ciò che dicono contro l’omeopatia è privo
di fondamento. La maggioranza dei detrattori parla contro l’Omeopatia
senza sapere cosa dice. Lo stesso avviene anche con la maggioranza
dei sostenitori.
C’è una apertura verso le cose nuove anche in ambito
universitario; collaboro con l’Università di Modena
e da tempo mi sto muovendo per ottenere un riconoscimento scientifico.
Quello che manca è l’informazione e ai pazienti è
necessario dire che deve essere una scelta ragionata, una scelta
di percorso.
Quali sono i vantaggia a tutt’oggi e i suoi limiti?
Ci sono i limiti medico-legali. In Italia l’Omeopatia non
è riconosciuta e se a un paziente sottoposto a cura omeopatica
dovesse andare storto qualcosa, io per la legge italiana sono responsabile
di aver sottratto questa persona a una terapia scientificamente
accettata.
Il secondo grosso limite sono le patologie che vanno ospedalizzate.
In Italia non esistono ospedali omeopatici. Il terzo limite è
che gli omeopati per anni si sono trincerati in una forma di settarismo
che di fatto li ha esclusi dalla comunità internazionale
scientifica; la valorizzazione della ricerca clinica effettuata
è stata dunque sottovalutata.
Perché ha scelto l’omeopatia?
Prima di tutto mi ha colpito l’aspetto teorico; è una
delle poche medicine che, per definizione, può essere utilizzata
come un’indagine approfondita sulla psiche del paziente, cosa
che a me interessa in modo particolare. Ciò che più
continua a stimolarmi è la relazione col paziente: questa
deve essere la più ampia possibile. Assemblare le informazioni
è importante quanto il farmaco che viene prescritto.
Molti suoi colleghi fanno un uso routinario
di complessi approntati per patologie tendendo ad allopatizzare
l’omeopatia. Hanno comunque efficacia, cosa ne pensa?
Personalmente non ho la minima stima nei confronti di questi comportamenti,
perché è una banalizzazione e volgarizzazione dell’omeopatia.
L’omeopatia non è la prescrizione di un farmaco omeopatico,
è una disciplina, è un modo di pensare, d’intendere
la malattia; si giunge ad una diagnosi e la cura che ne consegue
è quella di stimolare un sistema a recuperare le sue migliori
capacità di adattamento.
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