MTM n°8
MEDICAL TEAM MAGAZINE
Anno 3 - Numero 3/4 - mag/ago 2004
Speciale Medicine Non Convenzionali - L'altra medicina
 


Cristiana Nardini
Cristiana Nardini

Anno 3 - Numero 3/4
mag/ago 2004


Intervista a Massimo Mangialavori
di Cristiana Nardini

Dott. Massimo MangialavoriMassimo Mangialavori è riconosciuto come uno dei migliori omeopati del mondo. Dopo una discreta esperienza di clinica universitaria, decide di intraprendere un viaggio in Sudamerica con l’intenzione di approfondire lo studio dell’antropologia medica. L’esperienza si manifesta “rivelatoria” rispetto alla decisione di diventare omeopata. Mangialavori ha fondato la Scuola Internazionale di Medicina Omeopatica Cimi-Koinè che dirige insieme al dr. Giovanni Marotta, e ogni anno a Capri conduce un seminario internazionale a cui partecipano centinaia di omeopati provenienti da ogni parte del mondo. Lo abbiamo incontrato a Roma durante l’affollatissimo seminario sul primo ed unico libro pubblicato in italiano sulla metodologia omeopatica, scritto in collaborazione con Giovanni Marotta.



Perché oggi sempre più persone scelgono di curarsi con la medicina omeopatica?

Una larghissima fascia della popolazione fa uso di farmaci preparati omeopaticamente ma questo non vuol dire che si rivolgano a dei veri medici omeopatici. È vero che molti più pazienti di prima si stanno riferendo alle Medicine Non Convenzionali in genere, e tra queste l’Omeopatia è una delle più richieste, ma la mia impressione è che sia una moda del momento, e dietro questi pazienti gli omeopati veri sono un migliaio a fronte di molti altri che prescrivono rimedi omeopatici.
Anche nell’omeopatia è entrata un pò di New Age?
Certo, c’è la New Age in tutte quelle che sono le medicine non convenzionali, per questo non sono contento di come vanno le cose. Ciò che dicono contro l’omeopatia è privo di fondamento. La maggioranza dei detrattori parla contro l’Omeopatia senza sapere cosa dice. Lo stesso avviene anche con la maggioranza dei sostenitori.
C’è una apertura verso le cose nuove anche in ambito universitario; collaboro con l’Università di Modena e da tempo mi sto muovendo per ottenere un riconoscimento scientifico. Quello che manca è l’informazione e ai pazienti è necessario dire che deve essere una scelta ragionata, una scelta di percorso.
Quali sono i vantaggia a tutt’oggi e i suoi limiti?
Ci sono i limiti medico-legali. In Italia l’Omeopatia non è riconosciuta e se a un paziente sottoposto a cura omeopatica dovesse andare storto qualcosa, io per la legge italiana sono responsabile di aver sottratto questa persona a una terapia scientificamente accettata.
Il secondo grosso limite sono le patologie che vanno ospedalizzate. In Italia non esistono ospedali omeopatici. Il terzo limite è che gli omeopati per anni si sono trincerati in una forma di settarismo che di fatto li ha esclusi dalla comunità internazionale scientifica; la valorizzazione della ricerca clinica effettuata è stata dunque sottovalutata.
Perché ha scelto l’omeopatia?
Prima di tutto mi ha colpito l’aspetto teorico; è una delle poche medicine che, per definizione, può essere utilizzata come un’indagine approfondita sulla psiche del paziente, cosa che a me interessa in modo particolare. Ciò che più continua a stimolarmi è la relazione col paziente: questa deve essere la più ampia possibile. Assemblare le informazioni è importante quanto il farmaco che viene prescritto.
Molti suoi colleghi fanno un uso routinario di complessi approntati per patologie tendendo ad allopatizzare l’omeopatia. Hanno comunque efficacia, cosa ne pensa?
Personalmente non ho la minima stima nei confronti di questi comportamenti, perché è una banalizzazione e volgarizzazione dell’omeopatia. L’omeopatia non è la prescrizione di un farmaco omeopatico, è una disciplina, è un modo di pensare, d’intendere la malattia; si giunge ad una diagnosi e la cura che ne consegue è quella di stimolare un sistema a recuperare le sue migliori capacità di adattamento.