Il
vero benessere
di Eugenio Raimondo
direttore@mtmweb.it
Se impariamo a percepire il corpo sociale del paziente affineremo
il nostro tatto
per la percezione delle paure, angosce quotidiane, disagi nei rapporti
interpersonali
Eravamo tutti attenti. Non dimenticherò
mai le parole del mio Maestro di Clinica Medica Prof. Giunchi, quando,
durante le sue magistrali lezioni universitarie, frequentate da
centinaia di allievi, sottolineava l’importanza dei segni
e dei sintomi quali messaggi espressione di malattia.
Il corpo umano manifesta il suo alterato equilibrio e la sua malattia
con dei segni in base all’organo colpito. Si è gialli
per l’ittero, pallidi per l’anemia, cianotici nei broncopatici
e asmatici. L’ipertiroideo ha lo sguardo fisso ed è
ipereccitato, il parkinsoniano trema, il diabetico urina molto,
ecc. Come si evince, esistono delle caratteristiche che sono inscindibili
dalla malattia. Nella mia professione di medico di medicina generale
ho cercato di comprendere il segno nel paziente per associarlo alla
patologia. Effettivamente se si sta attenti alla facies dello stesso
e ai segni che il corpo trasmette è più facile l’orientamento
alla buona diagnosi. Ma ritengo che oggi un altro elemento è
indispensabile nella anamnesi del paziente: il suo “corpo
sociale”. La ricerca anche degli elementi della dimensione
sociale che si riflettono nelle varie interpretazioni sul funzionamento
del corpo stesso, è un tentativo di mediazione simbolica:
il corpo, le malattie, la salute sono vissute come metafore del
sociale e il sociale visto come metafora dell’organismo. Molti
antropologi hanno cercato di trovare corrispondenze tra ordine simbolico
e ordine sociale. Ma quanto lo stile di vita influenza lo stato
di benessere? Che le persone siano, in generale, ampiamente consapevoli
del ruolo degli stili di vita rispetto al proprio grado di salute,
trova conferme in numerose ricerche di massa. Esercizio sportivo,
alimentazione equilibrata, moderazione nell’assunzione di
alcool e fumo sono gli standard di comportamento dell’uomo
moderno per la salvaguardia della sua salute. Se impariamo a percepire
il «corpo sociale» del paziente affineremo il nostro
tatto per la percezione dei suoi stati d’animo: le sue paure,
angoscie quotidiane, disagi, difficoltà nei rapporti interpersonali,
l’incapacità o capacità di procurarsi il successo,
la mancanza di riconoscimento e di stima, la capacità di
sperare. Solo così aggiungeremo altri valori al suo stile
di vita: la fiducia verso il prossimo nel diffidente, la disponibilità
ad ascoltare nel distratto, la sopportazione nell’impaziente,
la moderazione nel goloso, l’apertura verso gli altri nell’asociale,
la speranza nel disilluso. L’equilibrio vero nell’uomo
lo si ottiene quanto vi è una consapevole ricerca della serenità
e del benessere non solo a livello corporale ma della mente, dei
pensieri, dell’anima.
Lettere
al Direttore
Gentile Direttore,
leggo molto volentieri ogni numero della sua rivista. Sono un medico
ma anche io ho avuto modo di conoscere il mondo dell’editoria,
e conosco lo sforzo che bisogna fare ogni giorno per realizzare
una rivista come la vostra; per questo vi faccio i miei complimenti
per l’ottima qualità dell’informazione che diffondete.
Leggo con attenzione ogni singola pagina affezionandomi da buon
lettore ad alcune rubriche [per esempio la pagina del medico generico]
piuttosto che ad altre. La cronaca ufficiale sottovaluta le nostre
problematiche, soffermandosi su tematiche scandalistiche, senza
verificare i meccanismi che le producono. Abbiamo bisogno di organi
di informazione che sappiano parlare di noi senza troppi pregiudizi
e che ridiano lustro ad una professione che oggi viene troppo spesso
calpestata.
Caro Collega,
ti ringrazio per i complimenti e le belle parole rivolte alla qualità
del nostro lavoro. Sono medico generico anch’io e conosco
le difficoltà, i difetti e le virtù di questa professione.
L’attenzione che ho scelto di rivolgere alla categoria dei
medici generici nasce dalla convinzione che da essa dipende il buono
o cattivo funzionamento della sanità pubblica italiana. Ma
dobbiamo essere messi in condizione di poter operare bene. Con 1500
pazienti non si è sempre attenti e perciò capita di
inviare a visita specialistica un paziente che, se avessimo avuto
più tempo, avremmo curato noi. Per la mole di lavoro a cui
ci sottoponiamo siamo anche sottopagati, non abbiamo diritto a ferie
e quando decidiamo di frequentare un corso Ecm a cui siamo ormai
obbligati, non è facile trovare sostituti perché non
ci sono giovani disposti a farlo. Grazie ancora.
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