Piccoli soldatini, Danilo mio figlio
di Eugenio Raimondo
direttore@mtmweb.it
Kiev era sotto un manto bianco. Vi giungemmo
di notte. All’arrivo all’aeroporto pensavo al
destino che avremmo condiviso con una
creatura che ci aspettava. La vecchia fiat
1100, che la procuratrice aveva prenotato da
Roma, slittava con le sue ruote consumate.
Con Elvira ci guardavamo intorno ma eravamo
troppo emozionati per pensare ad un
eventuale incidente. In periferia lasciavamo
grandi costruzioni, briciole di un socialismo
ormai passato. Quando entrammo in città
tutto sembrava diverso. Kiev è una città europea
e non ha nulla da invidiare ad altre metropoli,
nemmeno nelle ripercussioni peggiori
del capitalismo. Mano a mano il manto
bianco diventava nero. Camion, automobili
nuove che non si vedono neanche in Italia
e tanti altri catorci. I nostri bagagli erano
dappertutto, naturalmente anche sulle cosce,
impedendoci i movimenti più semplici.
Una coppia, sapendo di restarci un mese ha
riempito una valigia di spaghetti e pelati.
«Non si sa mai» diceva «siamo nell’Est».
Giungemmo finalmente nel nostro appartamento,
piccolo ma dignitoso. Il costo? Ah
già, è importante: 40 euro al giorno. Ed ancora:
1300 euro il viaggio per due persone,
2500 all’Associazione Chiara, 5000 alla procuratrice,
altri 3500 per tutto il resto: spostamenti
interni, taxi, alberghi, ristoranti. Non
è incluso ovviamente, tra queste spese, il
nuovo abbigliamento del figlio che ti aspetta,
perché personale per qualità, gusto, disponibilità
di ogni coppia. Il giorno dopo disponemmo
i nostri vestiti negli armadi condivisi
con il proprietario, che per l’occasione
alloggiava da un amico. Dalle cornici e dai
pennelli sparsi per casa desumemmo fosse
un pittore. Il nostro appuntamento all’Ufficio
Adozioni era fissato per due giorni dopo.
Ci era stato detto che ormai avevano assegnato
alla nostra coppia il bambino o bambina
e che dovevamo accettare serenamente
la combinazione non casuale. La scelta sarebbe
stata fatta in relazione al nostro tenore
di vita, alle nostre attività ed alle caratteristiche
della nostra famiglia. Non fù così. Nel
lungo corridoio dell’ufficio in cui ci bisbigliavamo
le nostre emozioni, tra americani,
spagnoli, italiani, si proiettavano dal muro
sui nostri occhi curiosi i quadri più belli che
l’uomo abbia potuto creare: erano i volti dei
bambini che avevano trovato una famiglia
ed erano felici e sorridenti. Scoprii che la assegnazione
è casuale come lo è la coppia che
giunge ad un tavolo piuttosto che ad un altro.
Se ti assenti un attimo per andare a fare la
pipì ti passa una coppia avanti e magari
adotta il figlio che avrebbero dato a te. Un arcobaleno
di sentimenti, il cuore che ti va a
mille quando ti tocca e scopri che devi scegliere
tra tre foto. Nessun autore può scrivere
quelle emozioni. Si chiama Danilo, vive in
Orfanotrofio a 900 chilometri di distanza. Tre
foto nella sua cartella, da angolature e spigolature
di vita diverse, espressione di una
volontà da parte del suo autore di farlo scegliere
al più presto. Gli altri bambini in bianco
e nero e foto tessera. Forse è stato questo
a convincere Elvira a propormi questa scelta.
Gli occhi furbi, lo sguardo all’infinito, le
piccole gambe disegnate da una distesa di
capillari sotto un pantaloncino da giamburrasca.
È lui mio figlio, è lui che ho sempre cercato,
l’Amore della mia vita. Il giorno che lo
incontrammo, in un paese sperduto dell’Ucraina,
era teso, ma orgoglioso e fiero di questi
due genitori alti e italiani. Poche parole in
russo: «Vi aspettavo in primavera, avete trovato
prima la strada». La Direttrice ci presenta
questo piccolo anatroccolo tremante,
con pelle chiara e nistagmo. Tante piccole
macchie sul viso come se fossero state tracciate
da un pennarello colorato. Ha giocato
pensammo e si è sporcato. Macchè, erano
bollicine disinfettate con una specie di tintura.
«Lo prendete comunque?» ci chiese. Dall’aspetto
non sembrava certo un bel bambino,
ma era mio figlio. «E poi io non sono mica
tanto bello» dissi a mia moglie. Piccoli soldatini
sembravano i bambini dell’Istituto.
Aspettavano tutti il loro papà e la loro mamma.
Autosufficienti già a due anni. E quando
uno di loro andava via erano gioiosi. Un giorno
chissà sarebbe toccato a loro. Piccoli soldatini
in attesa del loro comandante. Danilo
sei mio figlio ed io sono tuo padre. È questo
ciò che conta, mio tesoro. |