La spesa sanitaria in Italia
di Antonio Di Majo
In tutti i paesi sviluppati la spesa sanitaria assorbe una parte rilevante
di risorse; varie cause spiegano inoltre la sua sensibile dinamica
degli ultimi due decenni. D’altro canto, le difficoltà in cui versano
le finanze pubbliche di molti paesi hanno spinto e spingono
verso la ricerca di limitazioni alla crescita della spesa sanitaria pubblica.
Nel suo ambito un particolare rilievo ha ormai assunto la spesa
farmaceutica; nell’ultimo decennio i suoi ritmi di incremento,
nei paesi europei, sono stati molto elevati fino a portarla, ad esempio
in Spagna al 22 per cento della spesa sanitaria complessiva [circa
il 13 % in Italia].
Le differenti situazioni dei vari paesi trovano spiegazione nel diverso
peso assunto dalle molteplici determinanti di questa spesa,
le principali tra le quali vengono individuate nell’invecchiamento
della popolazione, nella numerosità dei medici di base, nel reddito
pro capite, nella distribuzione territoriale delle farmacie, nel
grado di inurbamento della popolazione, oltre che nelle politiche
di partecipazione diretta dell’utente alla
spesa e di caratterizzazione delle prescrizioni.
È noto che la spesa sanitaria rappresenta
in Italia il finanziamento del principale
compito attribuito al livello intermedio
di governo [le Regioni], che è perciò in larga
misura responsabile del suo livello e del
suo finanziamento.
Il riferimento a diverse variabili esplicative
della distribuzione e dell’andamento
della spesa farmaceutica regionale può consentire di individuare
le differenze giustificate tra i diversi ambiti territoriali. Uno studio
recente [M. Cavalieri, in Economia pubblica, 2007] ha cercato
di valutare la relazione tra la spesa farmaceutica regionale pro
capite e diverse variabili: il reddito pro-capite, il tasso di mortalità
standardizzato [come proxy di un indice di morbilità], il numero
di pazienti per medici generici, il numero di pazienti di pediatria
di libera scelta, il numero di farmacie per 10 mila abitanti,
il valore del ticket pro capite, la spesa pro capite di farmaci soggetti
a duplice via di distribuzione [diretta e attraverso le farmacie
convenzionate], il numero di dimessi dalle strutture ospedaliere
per mille abitanti.
Queste variabili dovrebbero aiutare a comprendere, attraverso l’utilizzo
di tecniche econometriche, le differenze esistenti nelle spese
farmaceutiche regionali pro capite, che nel 2003 andavano da un
minimo di 113 a un massimo di 292 euro.
Per esempio nell’analisi ricordata [cui si rimanda per maggiori dettagli],
il peso del reddito pro capite risulta tale che una
sua variazione del 10% dovrebbe comportare, nella media
italiana, una diminuzione della spesa farmaceutica
pro capite del 19% [ in gran parte dovuto alla sostituzione
di spesa pubblica con spesa privata]. Ma il risultato
più interessante è quello relativo non alle differenze
spiegabili statisticamente, ma al “residuo” non
collegabile alle variabili strutturali. Da questo punto di
vista è interessante osservare che lo scarto della spesa,
rispetto al livello giustificato, è pari al +18.5 % nella media
di tutte le ASL del Lazio, al +13% nella media dell’80% delle ASL della Liguria , ecc.. La diffusa presenza di scarti
[positivi e negativi] rispetto ai valori attesi non può essere interamente
considerato un indicatore di maggiore o minore efficienza
nell’uso delle risorse disponibili [data la necessariamente limitata
attendibilità delle stime], ma certamente rappresenta un indizio
nella direzione della ricerca di innovazioni e miglioramenti organizzativi
per quelle Regioni in cui lo “scarto” è piuttosto rilevante.
D’altro canto i dati più recenti sulla spesa farmaceutica pubblica
mostrano che nei primi mesi del 2007 nel Lazio ne è stata realizzata
la maggiore diminuzione [rispetto all’anno precedente], pari
al 14.3% [contro l’8,1% nella media nazionale]. Evidentemente
le stime econometriche avevano correttamente segnalato la opportunità
di interventi, principalmente in una regione, come il Lazio,
in cui i valori della spesa erano significativamente superiori a
quelli spiegabili con variabili strutturali di riferimento, consentendo
un innalzamento dei livelli di efficienza della spesa sanitaria
e un’attenuazione dei problemi delle finanze pubbliche.
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